La scrittrice Francesca Melandri che ben conosce gli Stati Uniti: “Il razzismo in USA è necessario agli interessi economici dei bianchi”

 

 

 

Francesca Melandri

 

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La scrittrice Francesca Melandri che ben conosce gli Stati Uniti: “Il razzismo in USA è necessario agli interessi economici dei bianchi”

Francesca Melandri: “Razzismo USA necessario agli interessi economici dei bianchi”

Intervista alla scrittrice Francesca Melandri, che conosce da vicino gli USA e la storia americana. Qualche giorno fa, un suo post su Facebook aveva mosso un interessante dibattito sul razzismo e sulle ragioni del Black Lives Matter. E sull’Italia, l’autrice di Sangue giusto dice: “Abbiamo bisogno di una legge che smetta di creare cittadini di serie B”.

Proponiamo ai nostri lettori una completa e lunga intervista a Francesca Melandri, scrittrice, sceneggiatrice, documentarista, che conosce da vicino gli Stati Uniti e la loro storia. Il suo ultimo romanzo è “Sangue giusto” (Rizzoli) del 2017. Due settimane fa aveva scritto un post su Facebook in cui raccontava le ragioni del movimento Black Lives Matter.

Quante e quali sono le cose principali che non capiamo di quanto sta succedendo negli USA dopo la morte di George Floyd?

La cosa principale che non viene capita degli USA è che tutta la loro storia, cultura, politica e società americana sono frutto della tensione tra i due principi fondativi degli USA, inconciliabili e in costante, violenta dialettica reciproca. Il primo elemento fondativo è l’invenzione della democrazia, del controllo sulle velleità di abuso del potere attraverso i meccanismi di controllo dei checks and balances, della dichiarazione immortale e commovente che tutti gli uomini sono eguali. Gli americani questo principio lo rivendicano, lo usano per autodescriversi: “the land of the free”.

L’altro?

L’altro pilastro, non meno costitutivo ma taciuto, rinnegato, vergognosamente indicibile fino a tempi recenti, è il trasferimento ai bianchi della ricchezza ottenuta con il lavoro dei neri su terre tolte ai nativi con il genocidio.

Due pilastri che creano una dicotomia difficilmente sanabile…

Tuttavia è questa la doppia natura degli USA: l’invenzione della democrazia da un lato, e il capitalismo di rapina suprematista dall’altro; il culto e la tutela della libertà individuale, e la cultura della violenza necessaria a mettere a segno quella rapina; le opportunità e la tolleranza trovate da milioni di persone sfuggite a povertà e persecuzioni del Vecchio Mondo, e l’arrivo in catene di esseri umani rapiti, strappati dai genitori e messi in vendita.

Chi, nella storia americana, rappresenta al meglio questa duplice natura?

Nessuno e meglio di Thomas Jefferson, che mentre scriveva le immortali parola “all men are created equal”, non ci pensava proprio a liberare gli schiavi che lo stavano rendendo ricco con lavoro non retribuito. Tutta la storia degli USA si può descrivere come la tensione violenta tra queste due loro componenti costitutive. La Guerra Civile è l’unico momento della loro storia che viene universalmente letto in questo modo, insieme a, cento anni dopo, il movimento per i diritti civili: “c‘era lo schiavismo, ma ha vinto la democrazia ovvero la sua abolizione”. Ma in realtà la lotta tra, per semplificare, l’ideale di democrazia e uguaglianza da un lato, e un capitalismo rapace basato sulla sopraffazione, è la costante di tutta la storia degli USA. Il pendolo tra queste due polarità ha continuato incessantemente a oscillare.

E dopo la fine della Guerra Civile?

Per una brevissima stagione vennero promessi agli schiavi liberati 40 acri di terra e un mulo a capofamiglia (da cui il nome della casa di produzione di Spike Lee) e il diritto di voto. Pochi sanno che durante la breve stagione progressista della Ricostruzione furono eletti senatori e congressmen neri. Ma non andò a finire bene. Il pendolo oscillò subito e violentemente dalla parte opposta. Tutti gli esponenti politici neri e i loro elettori vennero massacrati, uno ad uno o in grandi eccidi, o addirittura in battaglie. Seguirono esecuzioni mirate o di massa dei neo piccoli proprietari terrieri afroamericani, il furto delle loro proprietà da parte dei bianchi, e la loro riduzione di fatto nuovamente in una schiavitù che non lo era solo di nome. Il tutto attraverso una campagna di terrorismo istituzionalizzato con massacri e linciaggi perpetrati per essere sicuri che nessun afroamericano si mettesse più in testa di partecipare alla pari alla vita civile e quindi economica del paese. Siamo abituati a leggere i linciaggi dell’era Jim Crow come grandi eventi di psicosi sadica collettiva, ma in realtà avevano una funzione sociale ed economica molto precisa, sempre la stessa: uccidendo il più lentamente e ferocemente possibile un nero, e facendo di questa sevizia spettacolo pubblico, si terrorizzava una intera comunità così da togliere loro dalla testa qualsiasi speranza  di condividere con i bianchi la prosperità creata con il loro stesso lavoro. Esattamente così come un secolo prima lo schiavo fuggitivo riacciuffato veniva seviziato lentamente in maniere atroci, che forse è meglio non descrivere qui, al fine di togliere dalla testa dei suoi compagni l’idea di ribellarsi e fuggire e quindi smettere di produrre gratis ricchezza per i loro padroni.

In che modo tutta questa storia si è incardinata nella struttura sociale ed economica degli USA di oggi?

La polizia che ammazza a caso – e soprattutto impunemente! – il ragazzo che fa jogging è solo una delle tante eredità di questa prassi del terrore diffuso a scopo di controllo sociale, per permettere il furto istituzionalizzato della ricchezza prodotta dai neri.  Ovviamente qui non posso fare la storia degli USA, ma tutto, dal redlining urbanistico che ha di fatto impedito agli afroamericani di partecipare all’American dream basato sulla casa di proprietà e cementato la segregazione urbanistica, al complesso industriale-penitenziario odierno che dai corpi incarcerati degli afroamericani trae indicibili profitti, alla stessa speculazione finanziaria dei mutui subprime compiuta ai danni dei piccoli proprietari immobiliari afroamericani e che è stata alla base dell’esplosione della homelessness nel paese più ricco del mondo, tutto, tutto nella storia degli USA, si può leggere attraverso questa lente. Per capire la violenza sistemica della polizia di cui George Floyd è stata solo l’ultima vittima, e inserirla in questa tragica storia, occorre ricordare che i corpi di polizia negli USA sono stati fondati con il compito primigenio di “slave catcher” – acchiappatori di schiavi.  Quella forza armata cioè che, attraverso la tortura e l’assassinio dei neri che non stavano alle regole, ha fatto da cane da guardia alla ricchezza dei bianchi.

Stiamo dicendo che la discriminazione razziale è strutturale all’istituzione-polizia, negli Stati Uniti…

Gli omicidi a freddo della polizia su neri disarmati non sono mai avvenuti dal nulla, ma sempre in un preciso contesto di sopraffazione. Un aneddoto sui mille che si potrebbero raccontare: a Ferguson nel 2014, prima delle proteste di massa per l’uccisione da parte della polizia di Mike Brown, ragazzo disarmato che se ne andava per i fatti suoi, ben il 25% (un quarto!) dell’intero budget comunale era costituito dalle multe stradali comminate ai cittadini neri. Solo ai neri; mai ai bianchi. Una vera e propria forma di estorsione legalizzata ai danni di una comunità non considerata fatta di cittadini da servire e proteggere ma da sudditi, se non peggio, da impaurire, vessare e derubare.

Da Obama a Trump cosa è cambiato?

Il pendolo, che con Obama pareva andare dalla parte dell’integrazione democratica, ecco che con Trump è riandato in direzione opposta. E non illudiamoci che Trump non sia consapevole di questa lunga storia di sangue e lotta. La sua decisione di tenere il primo comizio elettorale della campagna presidenziale a Tulsa, luogo nel 1921 di un terribile eccidio ai danni dei neri, è una comunicazione ad alta carica simbolica che negli USA non sfugge a nessuno, né ai suprematisti bianchi, né agli afroamericani. Non è solo uno sfregio alla memoria, è soprattutto un messaggio, tanto minaccioso quanto chiaro: “Se continuate a protestare, quello che è già successo una volta a Tulsa sarà il vostro futuro”. Con la decisione di tenere il suo comizio a Tulsa, Trump ha di fatto dato il suo benestare alla guerra civile razzializzata.

Cosa possono fare i bianchi progressisti per sostenere la causa degli afroamericani?

Innanzitutto imparando e quindi, forse più di tutto, lasciandosi scioccare dalla crudezza di questa storia. Riconoscere l’enormità della sofferenza, dell’ingiustizia, del terrore. Di come non sia affatto finita con l’abolizione della schiavitù, o con il movimento per i diritti civili degli anni ’60, ma sia ancora oggi, nel 2020, esperienza quotidiana. Poi i bianchi devono una buona volta smettere di dare lezioni ai neri su come protestare. Nonostante questa storia tremenda, gli afroamericani non hanno mai smesso di resistere, neanche nelle epoche più buie. Una delle personalità più straordinarie dell’Ottocento, un nome che tutti i bambini del pianeta certamente imparerebbero a scuola se non fosse stata donna e nera, è Harriet Tubman, ex schiava, liberatrice di schiavi, condottiera di armate di liberazione e raffinata intellettuale. Non a caso Trump ha bloccato la stampa della banconota da 20 dollari a lei dedicata. Insomma, noi dobbiamo studiare e riconoscere l’incredibile capacità della comunità afroamericana, di lottare, lottare sempre, non arrendersi mai. Sono le loro lotte l’invincibile anima democratica degli USA. Una cosa che i bianchi hanno il dovere di fare, quindi, è finalmente riconoscere e onorare il fatto che sono stati gli afroamericani, nel corso degli ultimi 250 anni, a lottare con più determinazione di chiunque altro perché la promessa visionaria e umanistica della costituzione democratica si realizzasse. Questo straordinario patrimonio intellettuale e storico di resistenza civile, politica e culturale, di attivismo politico, e capacità di organizzare le proprie comunità, di cui Black Lives Matter è solo l’ultima incarnazione, deve finalmente essere riconosciuto, studiato, rispettato e ascoltato. E bisogna smetterla di raccontare le loro ribellioni solo come moti di folla inconsulti e saccheggi di bruti. Raccontarli solo così è una delle forme della secolare violenza bianca nei loro confronti: dipingere le vittime di secolare violenza e rapina come i violenti e i ladri, mentre la realtà è esattamente il contrario.

Esiste una causa afroamericana sganciata da una causa di classe?

Il colpo di genio dei coloni americani fu quello di dirottare e riformulare i conflitti di classe come conflitti razziali. C’è anche una data per l’inizio di questo fenomeno , ovvero intorno al 1670, quando gli USA non esistevano ancora ma erano colonie inglesi. L’invenzione della ‘superiorità’ della razza bianca in America si può datare in quegli anni lì, e fu per motivi squisitamente economici, nulla di filosofico o ideologico, tantomeno esistenziale. Successe perché i lavoratori a contratto, la cosiddetta servitù indenturata, erano all’epoca sia neri che bianchi. E neri e poveri bianchi si resero presto conto di avere molti interessi comune tra loro, contro i padroni (bianchi ricchi) che sfruttavano entrambi. Iniziarono così a unire le forze in piccole ribellioni, piccoli moti contadini, mossi da una, diremmo, pre-coscienza di classe. E cosa fecero i padroni bianchi? Soffocare le rivolte nel sangue non potevano farlo: chi avrebbe lavorato poi i loro campi? Fecero qualcosa di molto più astuto: li divisero. Mentre ai neri riservarono sempre di più il bastone, cominciarono a offrire ai bianchi poveri delle piccole carote, piccoli privilegi, piccole gratificazioni, soprattutto piccole licenze a compiere ruberie e sopraffazioni ai danni dei neri. Vennero incentivati a sentirsi superiori e a disprezzarli.

Come andò a finire?

I linciaggi cantati da Billie Holiday in ‘Strange fruit’, ancora negli anni ’50 del secolo scorso, non erano certo compiuti dai miliardari ma dai bianchi poveri. E la paura che un nero, soprattutto un maschio adulto nero, ha ancora oggi di morire in ogni momento mentre cammina per i fatti propri per strada per mano di un poliziotto dal grilletto facile, non rispetta divisioni di classe. Qualche anno fa successe a un professore universitario di essere arrestato, messo in manette e solo per un pelo non ammazzato, mentre stava entrando nel proprio appartamento. Quindi si, certo, i conflitti di classe ovvero di interesse economico sono alla base di tutta questa terribile storia. Ma ormai l’elemento “razziale” negli USA dura da così tanti secoli che ha vita propria, e se lo si nega non si riesce a capire la loro società.

Cosa pensi del dibattito italiano e in generale europeo su questa faccenda?

Il ben più piccolo e limitato colonialismo italiano si inserisce nella stessa storia di mezzo millennio di colonialismo da cui è nato anche quello americano. Il razzismo italiano è una specie di figlioletto un po’ dimenticato, nato tardi, ma sempre di quella famiglia  si tratta, sempre di quella macrostoria lì stiamo parlando. A differenza della xenofobia, che è un fenomeno diverso, più antico, addirittura istintivo, ricordiamoci che parlare del razzismo USA (e non solo)  come di un problema filosofico, esistenziale, culturale, di “rapporto con l’altro”, vuol dire occultare e di fatto edulcorare la sua vera motivazione: lo sfruttamento economico e il divide et impera tra classi sociali subalterne a favore dei detentori della ricchezza. La violenza strutturale contro i neri americani è effetto e manifestazione odierna di una lunga secolare storia, e questo rende la società americana  molto diversa dagli stereotipi, sia positivi che negativi, con cui viene descritta  – compresa dalla maggioranza dei bianchi americani stessi.  Occorre capire che entrambe le due anime – quella democratica e libera, e quella violenta e rapace – sono vere. Non è che una sia più autenticamente americana dell’altra. Entrambe lo sono. Gli USA sono un paradosso, una specie di koan storico.  I mille equivoci e luoghi comuni che in Europa abbiamo sugli USA derivano dal fatto che la maggior parte delle persone vede sempre solo una di queste due metà, a seconda della propria visione ideologica, e non l’altra, così nella critica come nell’esaltazione. Questo rende spesso impossibile capire non solo la violenza e la tragicità ma anche la grandezza e le incredibili risorse di energia civile e sociale, di quel grandissimo paese.

Quale legge sulla cittadinanza servirebbe da noi in Italia?

Una legge che smettesse di creare cittadini – studenti, bambini , adulti, lavoratori, contribuenti – di serie A e cittadini  di serie B. Se c’è una cosa che possiamo imparare dagli USA, è che la segregazione non è mai una buona ricetta per la pace sociale. E la legge sullo ius sanguinis in vigore ancora oggi in Italia è una legge di segregazione.

Hai raccontato il passato e analizzato il presente (negli Usa e da noi): come vedi il futuro di questa protesta?

Le manifestazioni di solidarietà a Black Lives Matter, in cui per la prima volta hanno partecipato tantissimi bianchi, ci dicono che una buona metà della società USA è pronta a cambiare paradigma. E così la solidarietà globale che hanno suscitato in tutto il pianeta ci dicono che siamo sulla cuspide di un evo storico, ovvero appunto la fine di quel mezzo millennio di storia coloniale e post coloniale in cui il razzismo anti-nero è stato inventato come giustificazione ideologica per lo sfruttamento economico delle risorse. Ma le forze che vogliono tirare il pendolo dalla parte opposta certo non staranno a guardare passivamente, e Trump è il loro campione.  Cosa tutto questo porterà –  agli USA, a noi europei, al resto del mondo – nessuno ancora lo sa. Per di più in uno scenario geopolitico globale dove si affacciano nuove potenze egemoniche come la Cina, con altre forme di autoritarismo e di sopraffazione, altre risorse sociali e culturali. Prevedere il futuro è impossibile
La cosa certa è una sola: quello che succede nella società USA, con le sue indicibili torsioni, faglie, vivacità, violenze, risorse e dinamiche, riguarda il mondo intero.

fonte: https://www.fanpage.it/cultura/francesca-melandri-razzismo-usa-necessario-agli-interessi-economici-dei-bianchi/
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