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Giulio Regeni abbraccia Zaki “Stavolta andrà tutto bene” – Il murales dell’artista Laika apparso vicino l’ambasciata egiziana
“Stavolta andrà tutto bene”. Giulio Regeni abbraccia e consola Patrick George Zaki, ricercatore dell’Alma Mater di Bologna e attivista Lgbt arrestato in Egitto nei giorni scorsi e, secondo quanto riportato dal suo avvocato, sottoposte a torture. Il murales dell’artista Laika è apparso su via Salaria, a pochi passi dall’ambasciata egiziana: in basso c’è una scritta in arabo, ‘Libertà’. Tutto il murales vuole infondere speranza e rassicurazione, nonostante la preoccupazione per il giovane e la paura che il suo possa essere un nuovo caso Regeni. Delle sorti del ragazzo non si sa praticamente nulla, solo che lo scorso venerdì è scomparso per 24 ore. Prima è stato portato al Cairo e poi a Mansoura, dove sarebbe stato interrogato sul suo lavoro di attivista, picchiato, minacciato e torturato con l’elettroshock.
Patrick George Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna arrestato venerdì 7 febbraio al Cairo, è stato interrogato per 17 ore. Durante tutto questo tempo Zaki è rimasto bendato e ammanettato, mentre i suoi aguzzini lo torturavano con colpi allo stomaco e alla schiena e con scosse elettriche.
A rivelare i dettagli sulla sua detenzione è Amnesty International Italia, che su Twitter ha scritto: “È stato interrogato sul suo lavoro sui diritti umani e sullo scopo della sua permanenza in Italia. Secondo il suo avvocato, i funzionari dell’Agenzia di sicurezza nazionale (Nsa) hanno tenuto Patrick bendato e ammanettato per tutto l’interrogatorio durato 17 ore all’aeroporto e poi in una località non resa nota a Mansoura”.
“L’arresto arbitrario e la tortura di Patrick Zaki rappresentano un altro esempio della sistematica repressione dello stato egiziano nei confronti di coloro che sono considerati oppositori e difensori dei diritti umani, una repressione che raggiunge livelli sempre più spudorati giorno dopo giorno”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“Non riusciamo ancora a comprendere le accuse mosse a Patrick, nostro figlio non è mai stato fonte di minaccia o di pericolo per nessuno, anzi, è stato una costante fonte di sostegno e di aiuto per molte persone”. Così la famiglia Zaky, in una nota diffusa sulla pagina Facebook ‘Patrick libero’ creata da attivisti per tenere alta l’attenzione sul caso.