Mario Tchou, l’italiano che col PC spaventò l’America, ma che pagò con la vita il suo genio.

 

Mario Tchou

 

 

 

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Mario Tchou, l’italiano che col PC spaventò l’America, ma che pagò con la vita il suo genio.

Lo scienziato riuscì a portare l’Olivetti all’avanguardia nel mondo prima di morire a 37 anni in un incidente d’auto

 

Mario Tchou, pioniere del computer (nella foto copertina un calcolatore Elea 9003 della Olivetti del 1957), riuscì a portare l’Olivetti all’avanguardia nel mondo. Nel 1961, a 37 anni, morì in un incidente con la sua auto in circostanze misteriose. Carlo De Benedetti: “Tutti credevano che fosse stata la Cia”. La moglie Elisa Montessori: “Nessuna prova. Poi decise tutto la finanza”.

Di seguito riportiamo una sintesi dell’approfondimento sulla vicenda a cura di Walter Veltroni dalle colonne de Il Corriere della Sera.

Si chiamava Mario, di nome, ma di cognome Tchou. Mario è figlio di un diplomatico cinese e finita la scuola, poco prima che inizi la tragedia del ‘43-’44, si iscrive al corso di ingegneria presso l’università, dove insegna, tra gli altri, Edoardo Amaldi. Poi lui parte con la moglie per l’America. Negli Usa, conosce Adriano Olivetti, uno dei più illuminati e aperti imprenditori dell’epoca.

A segnalarlo all’industriale di Ivrea è Enrico Fermi, non un passante.

Fermi aveva cercato fin dal 1949 di spingere Olivetti a investire sull’elettronica e a non occuparsi solo di macchine da scrivere.

Olivetti, anche lui, resta rapito dal fascino e dalla competenza di Mario e decide di metterlo sotto contratto.

Contemporaneamente, sempre su istigazione del genio di Fermi, l’università di Pisa decide di allocare un consistente investimento, 120 milioni di lire, per la costruzione di una nuova calcolatrice elettronica, la Cep.

Olivetti si associa all’impresa e così nasce a Barbaricina, pochi chilometri da Pisa, il Laboratorio di Ricerche Elettroniche che viene affidato alla direzione di Mario Tchou.

La Ibm è, già allora, la grande concorrente della Olivetti e guarda con preoccupazione alla velocità e all’efficacia con la quale Tchou e i suoi sanno anticipare risposte innovative.

La Olivetti, in quel momento, è all’avanguardia nel mondo. A lei guardano con attenzione e sospetto i concorrenti americani.

La Cia aveva seguito a lungo il lavoro di Olivetti. Corrono i sogni di Adriano, corre Tchou, corrono i suoi collaboratori. Corre la Divisione Elettronica della Olivetti.

Leggiamo la cronaca della Stampa che riporta la versione di Carlo Tinesi, l’autista del «Leoncino» contro cui sbattè l’auto di Mario. Siamo a tre chilometri dal casello di Santhià. «Vide la Buick che, in discesa, stava compiendo il regolare sorpasso di un autotreno. Poi, all’improvviso, mentre si stava riportando a destra, l’automobile cominciò a sbandare. Il conducente ne perdette completamente il controllo, la pesante vettura fece un giro completo su se stessa, poi cominciò una seconda piroetta. L’autista cercò di inchiodare il “Leoncino” ma i due veicoli erano ormai troppo vicini quando cominciò la sbandata e l’urto fu inevitabile».

Tchou e il suo autista Francesco Frinzi muoiono, l’autista ventottenne è illeso. Fu un incidente? Fu ucciso? Carlo De Benedetti dice: «In Olivetti, quando io sono entrato nel 1978, tutti erano convinti che Tchou fosse stato ucciso dalla Cia».

Potevamo essere, grazie all’intelligenza di una famiglia imprenditoriale e al genio di un cinese italiano, un passo avanti agli altri…

Resta il fatto che solo pochi anni dopo Valletta, che era interprete degli interessi americani, lavorò, con Cuccia, per far nascere una cordata che salvasse l’azienda. La Olivetti era in crisi per l’alto indebitamento della famiglia, divisa al suo interno. Nacque una cordata composta da Fiat, Mediobanca , Centrale, Imi e Pirelli che rilevò le attività ma pose come condizione che si cedesse il ramo dell’elettronica . Valletta voleva che il know how d’eccezione che il lavoro di Tchou e Roberto Olivetti aveva prodotto finisse in mano americana. E infatti fu la General Electric a comprare».

In effetti Valletta era stato esplicito, nel 1964: «La società di Ivrea è strutturalmente solida, sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico».

Non esiste alcuna prova che ci sia stato del dolo nella morte di Mario. Nessuna testimonianza, nessuna circostanza effettuale. Ma una cosa è certa. La sua morte e quella di Adriano portarono, in poco tempo, alla dismissione della Divisione Elettronica di Olivetti, fiore all’occhiello del nostro Paese, che fu venduta in fretta alla General Electric.

Quello sì fu un complotto, tutto industriale e finanziario, volto a indebolire l’Olivetti e l’Italia e a fare un favore agli americani.

La politica italiana tacque e il nostro Paese passò, nel settore strategico del futuro occidentale, ad essere passivo fruitore di consumo e non più avanguardia di ricerca. Potevamo essere , grazie all’intelligenza di una famiglia imprenditoriale e al genio di un cinese italiano, un passo avanti agli altri. Fu perso quel ruolo, quell’egemonia. E fu subito sera.

 

Mario Tchou, l’italiano che col PC spaventò l’America, ma che pagò con la vita il suo genio.ultima modifica: 2020-01-13T23:02:52+01:00da eles-1966
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