Canapa, il nemico immaginario – Quando la canapa italiana era la migliore del mondo!

Canapa

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook: Zapping

.

Canapa, il nemico immaginario – Quando la canapa italiana era la migliore del mondo!

 

Quando la canapa italiana era la migliore del mondo tecniche di coltivazione e trasformazione degli anni ’50

Un ragazzo degli anni ’50 racconta la coltivazione della canapa in Valdichiana, quando l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa al mondo. Il nostro Paese era soprattutto conosciuto per la produzione di fibre tessili, per secoli un’eccellenza italiana. Nel 1975, dopo la legge Cossiga contro gli stupefacenti, la canapa è completamente scomparsa dalla penisola. Da qualche anno alcuni pionieri, tra mille difficoltà, sono tornati a coltivare questa pianta dai molteplici utilizzi. Ecco la testimonianza su come la canapa veniva coltivata e utilizzata fino a pochi decenni fa.

In Valdichiana negli anni ’40 e ’50 non mancava la coltura della canapa. Di solito si seminava nella capitagna di un campo. Chiamavamo capitagna quella striscia di terreno che stava in cima e in fondo ai campi dove le bestie con gli attrezzi manovravano durante la lavorazione e che alla fine venivano arati in senso verticale. Si trattava quindi di piccoli appezzamenti. La semina, per quanto ricordi, si faceva a mano in primavera. Le piante si sviluppavano fino ad un’altezza di oltre due metri con gli steli molto consistenti, così fitti che era impossibile entrarci in mezzo. Durante la fioritura colpiva l’odore intenso, inebriante che emanavano. Inoltre nelle ore calde della giornata si sentiva un forte ed incessante ronzio di insetti.
La raccolta si faceva a fine estate. Con una falcetta si tagliavano le piante raso terra, si legavano in piccole mannelle e con il carro si portavano a casa nell’aia. In seguito si procedeva alla lavorazione molto complessa che vedremo. Dalle piantine raccolte si prendevano i semi. Successivamente le mannelle di canapa si mettevano a macerare nell’acqua. Questa operazione era fondamentale per ottenere una buona stoppa, che era la materia prima principale estraibile da questa pianta. La canapa restava nell’acqua per 15-20 giorni, poi veniva messa ad asciugare. Occorre precisare che noi non avevamo, in quel periodo dell’anno, acqua a sufficienza per la macerazione della canapa. Pertanto la portavamo da un contadino che abitava ad una distanza di qualche chilometro da noi il cui podere aveva acqua in abbondanza. C’era il quel podere una vasca rettangolare, profonda un paio di metri, ben squadrata che sembrava una piscina. Aveva una vena superficiale e l’acqua limpida vi scorreva continuamente. Intorno a questa vasca le “forme” o canalette erano sempre piene d’acqua. Là dentro mettevamo la nostra canapa a macerare.
Per l’estrazione della stoppa dagli steli della canapa si usavano speciali attrezzi che chiamavamo mascelle. Le mascelle erano costituite da un banco di legno con 10 lamine sempre in legno unite insieme con un perno ad una estremità. Alternativamente la metà delle lamine erano fissate al banco, mentre le altre, unite da un manico, si alzavano ed abbassavano manualmente in modo che incastrandosi con quelle fisse rompevano gli steli della canapa. Da questa funzione, simile alla masticazione, questi attrezzi dovrebbero aver preso il loro nome. La canapa, una manciata alla volta, si passava sotto l’attrezzo. Con una mano si alzavano ed abbassavano le mascelle e con l’altra si faceva scorrere la canapa. Per frantumare completamente gli steli occorreva insistere con questa masticazione abbastanza a lungo. Successivamente si passava la fibra su dei grossi pettini in modo da liberarla completamente da residui legnosi ed allo stesso tempo affinarla

La filatura e la tessitura della canapa Ricordi dei lavori contadini in Valdichiana

Dopo il racconto sulla coltivazione e lavorazione della canapa in Valdichiana, i ricordi del nostro testimone vanno avanti con la descrizione della filatura e della tessitura, compiti esclusivamente femminili che richiedevano grande abilità.

Cosi lavorata la canapa era pronta per la filatura. Durante le lunghe serate invernali, le donne di casa fornite di rocca, fuso ed una bacinella d’acqua filavano. La rocca consisteva in una canna lunga circa due metri dove all’estremità si incastrava un grosso ciuffo di canapa. Il fuso era un legnetto tornito lungo circa 25 cm con pancia al centro e sottile alle estremità. Ancora mi meraviglio al ricordo dell’abilità con cui mia nonna, mia madre e mia zia svolgevano questa lavoro. Sedute davanti al tavolino con la bacinella dell’acqua accanto, la rocca appoggiata alla spalla cominciavano ad appiciare la stoppa. Appena creato un pezzetto di filo lo avvolgevano intorno al fuso. Dando a questo una spinta con le dita lo facevano girare appeso alla rocca. Iniziava così la filatura. Si dovevano fare contemporaneamente le seguenti azioni: far girare sempre il fuso dandogli spinte ogni pochi secondi e accompagnare la stoppa con le dita bagnandola con l’acqua e evitando il formarsi di nodi e ispessimenti nel filo. Dimenticando per un momento la persona ed i suoi gesti, mi incantavo ad ammirare lo spettacolo del fuso che girava sospeso poco al disotto del piano del tavolino e si ingrossava gradualmente. Mentre la stoppa al disopra del piano si trasformava in filo, il ciuffo sulla rocca diminuiva costantemente. Finita la stoppa sulla rocca la filatrice la riempiva di nuovo, sostituiva il fuso con uno vuoto e ricominciava il lavoro. Alla fine le filatrici provvedevano a svuotare i fusi formando delle matasse. Prendevano il capo del filo tra due dita, piegavano in braccio ad angolo e vi avvolgevano il filo intorno. Per formare una matassa occorreva il filo di più fusi pertanto era necessario fare un nodo per unire i fili. Questo nodo era fatto a regola d’arte e si notava appena.

Gli usi che si facevano della canapa erano principalmente due. La tessitura, per realizzare lenzuola, tovaglie, asciugamani, eccetera e la fabbricazione di cordami di varie dimensioni. Un po’ di stoppa la lasciavamo non filata e serviva a sigillare, in particolare tubi per l’acqua, ma anche contenitori in legno come botti e altro. Dopo oltre 60 anni ne ho ancora di quella stoppa e mi è spesso utile.

In quell’epoca avevamo come nostri vicini, che abitavano ad una distanza inferiore ai cento metri, una famiglia alla quale andavo spesso a fare visita fin da quando ero piccolissimo. Mi accoglievano festosamente e mi facevano giocare. Inoltre mi piaceva andarci perché alle volte vi incontravo il mio amichino, un bambino della stessa mia età. Anche lui abitava poco distante, ma dalla parte opposta alla mia. Era questa una famiglia abbastanza numerosa: formata da tre fratelli con la particolarità di avere solo figlie femmine. In verità c’era anche un figlio maschio ma, forse perché si sentiva troppo solo, se ne era andato da giovanissimo a fare il carabiniere. Pertanto la famiglia era composta, prima che iniziassero i matrimoni, da tre uomini e dieci donne. La famiglia, cosa molto rara in quella zona, possedeva un telaio.

Questo telaio da tessitura era in legno ed aveva le dimensioni, grosso modo, di un letto a due piazze. Mi rimane difficile descrivere il meccanismo di funzionamento che era molto complesso. Venivano tesi i fili di canapa in senso verticale (ordito) per tutta la lunghezza del telaio, alternativamente uno in basso e ed uno in alto. Poi si usava uno strumento, la spola, che serviva a far passare il filo in senso orizzontale. Ad ogni passaggio della spola si invertiva la posizione dei fili verticali, quelli in basso si spostano in alto e viceversa, in modo da formare il tessuto. C’era una specie di carrello che si spingeva in avanti e andava a pressare i fili orizzontali (trama) compattando il tessuto. Queste operazioni venivano svolte in velocemente: la spola correva da un lato all’altro del telaio senza posa, allo stesso ritmo procedevano le inversioni dei fili verticali e i colpi che il carrello assestava ai fili orizzontali. Si vedeva così formarsi lentamente il tessuto. Per quanto riguarda il filo orizzontale, la trama, mi sembra che non venisse usato il nostro solito filo di canapa ma che fosse acquistato un filo in cotone. La tessitura si effettuava ad intervalli di vari anni, solo quando occorreva rinnovare la biancheria. In questa occasione le donne di casa trasferivano i filati nel locale dei vicini, mi sembra si trattasse di una cantina, dove era collocato il telaio e per circa una settimana lavoravano a questo attrezzo facendolo funzionare come ho descritto. Naturalmente tutti i movimenti non erano meccanizzati, si usavano mani e piedi. Il tessuto, così realizzato, alla fine veniva tagliato, cucito e orlato per adattarlo ai vari usi.

 

fonti:

http://www.boscodiogigia.it/2017/04/25/quando-la-canapa-italiana-era-la-migliore-del-mondo/

http://www.boscodiogigia.it/2017/05/02/la-filatura-e-la-tessitura-della-canapa/

 

Canapa, il nemico immaginario – Quando la canapa italiana era la migliore del mondo!ultima modifica: 2017-05-06T16:39:51+02:00da eles-1966
Reposta per primo quest’articolo