L’inquinamento? Fa più morti della seconda guerra mondiale. Ma sembra che a nessuno interessi!

 

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L’inquinamento? Fa più morti della seconda guerra mondiale. Ma sembra che a nessuno interessi!

Più morti che in guerra

E’ una guerra invisibile, con tre nemici. Ma ne combattiamosolo uno. E debolmente.

E’ una guerra vigliacca, colpisce più i bambini che gli adulti. E fa più morti in Italia della seconda guerra mondiale.

E’ una guerra che abbiamo sempre perso, e che abbiamo deciso di perdere ancora. 

La propaganda la chiama “inquinamento“, ma il suo vero nome è un altro.

Da aspoitalia.wordpress.com

Di Dario Faccini

OSPEDALI E FUNERALI

Nella seconda guerra mondiale in Italia, in cinque anni e mezzo, sono morti per cause dirette e indirette, 291.376 militari e 153.147 civili [1]. In totale sono 444.000 morti.

Ora in Italia, ogni anno, muoiono prematuramente perinquinamento dell’aria 87.ooo persone [2]. Quindi in cinque anni e mezzo (teniamo lo stesso periodo della seconda guerra mondiale per avere un confronto omogeneo) sono 478.000 morti.

Come se non bastassero i morti, ci sono poi i “feriti“. In effetti le morti premature sono solo la punta dell’iceberg di un problema che devasta il Sistema Sanitario Nazionale.

piramide-esternalita

Uno studio italiano del 2016 ha mostrato come l’incidenza delle malattie respiratorie siano più che raddoppiate in 25 anni (dal 1985 al 2011) [3]:

  • Attacchi d’asma +110%
  • Rinite allergica +130%
  • Espettorato frequente +118%
  • Broncopneumopatia cronica ostruttiva(BPCO) +220%

I bambini sono particolarmente esposti all’inquinamento dell’aria[4]:

  • innanzitutto la loro velocità di respirazione è 2/3 volte quella di un adulto;
  • poi lo strato cellulare che ricopre le loro vie respiratorie è più permeabile agli inquinanti, rispetto quello di un adulto;
  • le ridotte dimensioni delle vie respiratorie aumenta la probabilità di ostruzione a seguito di infezioni;
  • il loro sistema immunitario non è ancora sviluppato, ciò aumenta il rischio di infezioni respiratorie e diminuisce la capacità di contrastarle.

Come tutte le guerre, anche questa ha un costo, ma è negativo, cioè non spendiamo nel combatterla, ma nel perderla. Ogni cinque anni e mezzo, la spesa sostenuta per i costi sanitari (ospedalizzazioni, giornate perse di lavoro, visite, esami e cure) arriva a 530 miliardi di euro [5]. Per dare un’idea, è più della ricchezza prodotta in un anno dalla Lombardia e Veneto (le due regioni più ricche), ed equivale annualmente a quasi il 5% del PIL nazionale. In realtà, per come si calcola il PILe la ricchezza di uno stato, è più corretto dire che grazie a questa spesa il nostro PIL è gonfiato di un 5%.

 ENTRIAMO NEL PARTICOLATO

Vediamo di capire cosa è successo nei giorni scorsi.

Semplificando, l’inquinamento dell’aria è riconducibile principalmente alle polveri sottili, PM2,5, responsabili di oltre il 70% dei morti, e agli ossidi di azoto, che uccidono un altro 20%. [6]

Il PM2,5 è composto da minuscole particelle “respirabili” che rimangono in sospensione nell’aria e riescono a giungere sin dentro ai polmoni e da qui nel sangue.

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Le particelle, chiamate anche particolato, possono avere l’origine più diversa e trasportare altri inquinanti molto pericolosi, come il Benzopirene. Per questo, indipendentemente dall’origine, le PM2,5 sono classificate come cancerogene.

Il particolato [7] per lo più è prodotto in due modi:

  1. direttamente da tutte le combustioni (particolato primario)
  2. in inverno, a partire da altri inquinanti gassosi, soprattutto i composti azotati (ossidi di azoto e ammoniaca), quando le condizioni meteo trasformano l’aria inquinata in un vero e propriolaboratorio chimico-fisico (particolato secondario).

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In inverno, le condizioni meteo (freddo, assenza di vento) possono portare alla concentrazione rapida del particolato nelle pianure e nei fondovalle. L’ultimoeclatante episodio è capitato solo pochi giorni fa ed ha investito l’intera Pianura Padana, con valori delle PM2,5 ben al di sopra degli 80 ug/m3 (il limite medio annuo è 25).

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Concentrazioni di PM2,5 il giorno 31-1-2017 in Lombardia e Emilia Romagna. Fonte: Arpa Lombardia eArpa Emilia Romagna.

 

L’evento è capitato a grande velocità: sono bastati solo tre giorni. Segno questo che la produzione di inquinantiin Pianura Padana è troppo elevata per il ricambio e la diluizione dell’aria garantita dalle condizioni meteo e morfologiche della grande vallata.

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Impennata delle concentrazioni di PM2,5 alla periferia della città di Cremona a fine gennaio 2017.

 

SORPRESI DAL NEMICO ALLE SPALLE

Facciamo un gioco con i colori. Scopriamo in Italia chi produce i principali tre inquinanti: PM2,5, Ossidi di Azoto e Ammoniaca.

Legenda fondamentali

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(cliccare per ingrandire) Ripartizione per settore di produzione, dei tre principali inquinanti dell’aria nel 2013, su base nazionale. Il traffico veicolare è calcolato su modelli reali di utilizzo, include quello leggero e quello pesante, l’usura dei pneumatici ma non quella dell’asfalto. Fonte: ASPOItalia, Inquinamento: tutti i banditi e i mandanti.

 

Si scoprono tre cosette interessanti:

  1. La prima sorpresa sono le biomasse (legna e pellet) per riscaldamento che producono il 60% delle PM2,5, sono di gran lunga la principale fonte di particolato primario;
  2. meno sorprendentemente, il traffico veicolare è il principale produttore degli ossidi di azoto, con il 42,5%; 
  3. la seconda sorpresa viene dalla produzione diammoniaca, che è al 95% prodotta dal settore agricolo (utilizzo di fertilizzanti);

Questi sono dati nazionali, vediamo di calarli in due casi reali.

In una grande città come Milano, in inverno biomasse(legna e pellet), traffico e particolato secondarioproducono ciascuno circa un terzo del PM2,5. In aperta campagna invece, oltre che al dimezzarsi del PM2,5 totale, i contributi sono: biomasse 35%, traffico 9%, particolato secondario 53% (NOx 31%, NH3 14%, SOx 9%) e altro 3%. [8]

 

Quanti chilometri fai con una stufa o una mucca?

Entriamo nei tre problemi, e vediamo, tra le altre cose, anche quanti km deve percorrere un’auto a benzina per inquinare quanto una stufa a legna o un animale da allevamento.

STRATEGIA FUORISTRADA

Per il traffico veicolare qualcosa si è fatto, grazie all’Unione Europea. Con le limitazioni alle emissioni veicolari rappresentate dagli standard EURO, si è abbassato sia il particolato che gli ossidi di azoto emessi, soprattutto per i motori a benzina. Per i motori diesel, alla luce dei recenti scandali sull’alterazione dei test di aderenza agli standard EURO, invece si è fattomolto meno, come si può apprezzare nella figura seguente.

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Confronto tra emissioni reali e limiti degli standard EURO per gli Ossidi di Azoto, per i motori a benzina e diesel. Fonte: vedi nota [2] nell’articolo precedente.

La situazione è ancora meno rosea considerando che il mercato dei trasporti è stato lasciato libero di spostarsi verso il diesel, che nel 2000 in Italia rappresentava il 51% dei consumi petroliferi su strada e nel 2014 il 72% (considerando solo benzina e gasolio, senza il GPL) [9, pag 72]. Ecco perché è troppo poco. Anche se un effetto sulle emissioni di particolato primario c’è stato (vedi grafico seguente).

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Per l’Italia, storico delle emissioni PM2,5 (solo particolato primario) del trasporto su strada secondo modelli di reale utilizzo (auto, moto, furgoni, camion, usura dei pneumatici ma manca quella dell’asfalto), in blu, e degli impianti stazionari a servizio del settore residenziale, in rosso. La serie relativa al settore residenziale è stata ricalcolata nel 2016 in seguito alla scoperta di gravi sottostime nel consumo di biomasse, che rappresentano il 99% delle emissioni di questo settore. Fonte: rielaborazione dell’autore su dati [10] (aggregazione settori da 1A3bi a 1A3bvii, e 1A4bi).

Per agire ulteriormente sui trasporti c’è praticamente solo una strada: in prima istanza l’abbandono del diesel,che sembra già iniziato, e successivamente quello dellamobilità privata a favore di quella pubblica. Sulla possibilità di sostituire tutti i veicoli ora in circolazione con mezzi elettrici, ne parleremo in un altro post, per ora basti dire che avrebbe effetti ed impatti non sostenibili.

CHILOMETRI IN FUMO

Per legna e pellet invece si può affermare con certezza che non solo nulla è stato fatto, ma anzi si sta aggravando il problema. A dimostrazione si osservi il grafico precedente, in cui le emissioni dirette di PM2,5 delle biomasse dal settore residenziale (camini, stufe e caldaie) sono largamente superiori a quello del traffico, e sono cresciute moltissimo negli ultimi 10 anni.

Per farci un’idea, cerchiamo di capire quanto inquinano i vari impianti di riscaldamento rispetto ad un’auto. Ad esempio, cerchiamo di capire quanti km deve fare un’auto a benzina per inquinare quanto una stufa a legna (utilizzata per un anno).

Prendiamo allora per riferimento un appartamento di 70mq, in classe E (consumo di 100kWh/mq/a) ed osserviamo quanto inquinerebbe ogni diverso combustibile per riscaldarlo per un anno intero. Stiamo parlando di un consumo di legna pari a 40 quintali l’anno, o 32 quintali di pellet. Come inquinante prendiamo sempre il particolato, frazione PM10, considerando sia quello primario che secondario(derivato da ossidi azoto, ammoniaca e ossidi zolfo). Questo approccio, ha il vantaggio di rendere intuitivo l’inquinamento prodotto e di aggregare tutti i principali inquinanti. Introduce però alcune imprecisioni, che sono in parte compensate e comunque sempre in senso molto conservativo, vedere nota [13].

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Inquinamento in particolato primario e secondario prodotto ogni anno da vari impianti di riscaldamento, per riscaldare un appartamento di 70mq in classe E. L’inquinamento è espresso nei km percorsi da un’auto a benzina “media” per il parco italiano. Si leggano la note [13] [14] per le fonti utilizzate e le ipotesi di carattere conservativo introdotte.

A parte la follia di usare ancora nel XXI secolo un camino aperto, si osserva come l’uso della Legna produce sempre un inquinamento pari ad un’auto a benzina che gira intorno all’abitazione, per tutto l’inverno, percorrendo oltre 40.000km!

Un poco meglio va con l’uso del pellet, che comunque quando sostituisce una precedente caldaia a Metano o, addirittura, a Gasolio, in questo confronto aumenta le emissioni di ben  20.000km ‘percorsi’.

Ecco perché, nonostante i miglioramenti tecnologici nella combustione delle biomasse su piccola scala, le emissioni in questo settore continuano ad aumentare:vengono sostituiti combustibili più puliti (benché non rinnovabili).

L’effetto di sostituzione si può apprezzare nel grafico seguente, in cui si può osservare il calo continuo dei  combustibili liquidi a favore delle biomasse. [16]

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Storico dei consumi in proporzione sul totale, di ogni classe di combustibile nel settore residenziale. Anno di riferimento 2014. Fonte: Rielaborazione autore su dati ISPRA [10].

La motivazione di questo cambiamento sembra essere principalmente di ordine estetico ed economico, cui spesso non è assente un messaggio ecologista: la Legna spesso non paga l’IVA (perché di autoproduzione, o perché viene evasa) che comunque è agevolata al 10%, e insieme al Pellet non paga nessuna accisa. Purtroppo si confonde spesso il concetto di combustibile “rinnovabile” con quello di “pulito”. 

In questo le autorità stanno facendo bel poco. Le più attente, hanno messo prima dei limiti minimi di efficienza agli apparecchi a biomasse, poi hanno introdotto una classificazione sulle emissioni, che però diventa veramente stringente in realtà solo quando i limiti di qualità dell’aria sono già stati superati. Nel frattempo, mentre i decisori politici si rifiutano di prendere azioni di contenimento, l’Italia detiene il record mondiale di importazioni di legna da ardere (con tutti i problemi connessi di impatto ambientale ed energetico dovuti ai trasporti), e quello europeo per il consumo di pellet (85% importato).

Eppure basterebbe così poco. Sarebbe sufficiente imporre l’obbligo di rottamare una vecchia stufa a legna prima di procedere all’installazione di una nuova di ultima generazione. Il bilancio sulle emissioni sarebbe così positivo e l’indotto sarebbe salvaguardato.

UN MONDO DI LETAME

Per ultimo trattiamo il mondo dell’agricoltura e degliallevamenti, che abbiamo visto in Italia producono il96% di tutta l’ammoniaca(NH3) nell’aria, un inquinante che insieme ad altri produce il pericoloso particolato secondario (smog).

Partiamo da un dato: metà delle emissioni provengono dalla gestione, nei ricoveri, delle deiezioni degli animalida allevamento, mentre quasi l’altra metà proviene dallafertilizzazione dei campi con letami e concimi inorganici. In pratica, oltre il 70% delle emissioni di NH3 è imputabile agli animali da allevamento (bovini, suini, pollame) sotto forma di gestione delle loro urine e feci.

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Ripartizione emissioni di ammoniaca dal settore agricolo/zootecnico. Legenda: 3B-Gestione dei Letami nei ricoveri e stoccaggi degli allevamenti; 3D-Fertilizzazione dei terreni. Fonte: [9, pag 116]

Per capire l’entità del problema, come già visto per le stufe a legna, vediamo quanti km deve percorrere un auto a benzina per inquinare quanto un animale da allevamento, in termini di emissioni PM10(I+II). In questo caso la stima è meno robusta, ma dovrebbe essere ancora conservativa, vedere note [13], [14] e [17].

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Emissioni di particolato (quasi totalmente secondario), espresso  “in chilometri percorsi da un’auto a benzina”, prodotto da vari animali da allevamento. Sono separati due contributi: le emissioni delle deiezioni degli animali nei ricoveri e negli stoccaggi, e lo spargimento nei campi. Anno di riferimento: 2014. Per fonti e metodologia impiegata, vedere note [13], [14] e [17].

Scopriamo così che ogni bovino da latte inquina in inverno come un’auto a benzina che percorra 55.000 km. Se consideriamo che in Italia nel 2014 avevamo 1.800.000 bovini da latte e il doppio da carne, a livello di inquinamento sanitario è come se ci fossero circa altri 20 milioni di vetture a benzina [18]. Questo senza contare i suini, il pollame e gli altri animali (equini, ovini, bufale,…).

Ma com’è possibile che gli allevamenti inquinino così tanto? La risposta è semplice: in natura, gli stessi animali che alleviamo, non sarebbero né così numerosi, né così ipernutriti.

L’aspetto veramente interessante, è che delle azioni mirate nel settore agrozootecnico non avrebbero benefici solo sull’emissioni di Ammoniaca/Particolato, ma anche su quelle climalteranti (es. metano), sulla sostenibilità ecologica (minor uso dei fertilizzanti, riduzione eutrofizzazione delle acque), energetica e sanitaria(obesità).

Le strategie per ridurre questi impatti potrebbero essere allora di tre tipi:

  1. La spinta ad un cambiamento nei consumi alimentari, che riduca il consumo di proteine animali, salvaguardando la sostenibilità, la profittabilità(aumento dei prezzi delle carni) e la qualità del settore zootecnico. Un’idea su tutte: marchi di qualità che garantiscano al consumatore la sostenibilità a tutto tondo degli allevamenti, invece che la mera provenienza geografica. Anche perché comunque il settore zootecnico è in una crisi che va gestita: nel periodo 1990-2013 si è avuto un calo del 15% delle emissioni di ammoniaca principalmente dovuto alla riduzione del numero di capi allevati.
  2. La riduzione della sovralimentazione proteicanegli allevamenti, che si riflette ora in un eccesso di ammoniaca che viene espulso tramite le deiezioni. Togliere, dalla dieta, l’1% in proteine, permette di ridurre le emissioni del 10%.
  3. Tecniche avanzate di gestione dei liquami e letami in azienda (acidificazione, copertura vasche di stoccaggio,…) e durante lo spandimento dei concimi nei campi per la fertilizzazione (iniezione, interramento). Le possibilità di abbattimento sono molte. L’adozione di BAT (Migliori Tecnologie a Disposizione) ha permesso alla Danimarca di ridurre, nel giro di 20 anni, del 40% le emissioni di ammoniaca del comparto agricolo.

In Italia, al momento, la riduzione delle emissioni di ammoniaca fissate in sede UE al 2030 sono del 14% (rispetto al 2005). Un obiettivo che, per riuscire a definire ambizioso, serve una spiccata fantasia.

 

Nella foto un bambino cinese sta respirando aria pura da una lattina. La lattina è prodotta in Canada e costa una decina di euro, e dura qualche decina di respiri “incontaminati”. Follia economica, energetica ed ecologica a parte, fortunatamente questo business, iniziato un paio d’anni fa, non è esploso, ma il fatto chenon sia  neppure morto e sepolto, è uno dei tanti segnali che indicano come l’inquinamento sia un problema serio.

Vediamo allora come sia possibile:

  1. attaccare il problema collettivamente e,
  2. almeno singolarmente, ridurlo a termini ragionevoli almeno per i bambini

L’UNIONE FA LA FORZA

Ad un certo punto abbiamo deciso di controllare la potabilità dell’acqua nelle reti idriche, abbiamo introdotto le norme antisismiche e misure di sicurezza via via più stringenti nel mondo del lavoro. Perché allora sull’inquinamento dell’aria i risultati sono stati così modesti?

Il motivo è semplice: l’inquinamento dell’aria dipende per lo più dalla quantità di energia chimica che usiamo nella nostra società (fossile o biomasse) e siccome abbiamo voluto continuare a ‘crescere’, ci è servita più energia. Anche contando la maggiore efficienza e tecnologie più pulite, finché c’è crescita materiale l’inquinamento prodotto non può calare bruscamente. E questo vale considerando anche la transizione dalle fossili alle rinnovabili, che per quanto desiderabile sarà meno facile e meno veloce di quanto normalmente si creda [19]. Nel frattempo, continueremo ad immettere nell’atmosfera troppi gas climalteranti (nonostante gli accordi presi a Parigi) e l’inquinamento dell’aria continuerà a mietere troppe vittime.

Almeno una leva che potrebbe accelerare  i tempi però c’è. Ed è la stessa leva che sinora è stata largamente latitante: le pubbliche autorità. La UE ha infatti avviato ben due procedure di infrazione nei confronti dell’Italia sul particolato e il biossido di azoto, potenzialmente in grado di arrivare ad una multa da un miliardo di euro l’anno. La Commissione Europea contesta essenzialmente all’Italia di non aver fatto abbastanza e indica necessarie ulteriori azioni sul fronte del trasporti, dei combustibili solidi (biomasse) e dell’agricoltura [20].

Difficilmente però dallo Stato e dalle Regioni verranno intraprese azioni più incisive se non ci sarà una richiesta da parte dei cittadini. Per questo segnaliamo due raccolte firme da parte dell’associazioneriambientiAMOci :

  • una su AVAAZ, rivolta al Presidente della Repubblica, per ricordare come l’Art. 32 della Costituzione che tutela la salute pubblica sia disatteso;
  • una su CHANGE, diretta a quattro Presidenti di Regione della Pianura Padana perché adottino provvedimenti più incisivi nel limitare le emissioni;

A livello locale, è meritoria l’azione di Cittadini per l’Aria,AIPI e ClientEarth che hanno fatto ricorso al TAR della Lombardia perché la Regione modifichi il Piano degli Interventi per la qualità dell’Aria emanato nel 2013: in tre anni ha dimostrato un effetto praticamente nullo.

EDIFICI MALATI

Ok, ma oltre a provare a cambiare qualcosa collettivamente, nel frattempo non si può provare adifendersi in qualche modo? Almeno per i bambini

La risposta è si, ma prima di dire come si può fare, si deve capire dove si deve agire.

Molti anni fa, in una lezione postuniversitaria sull’inquinamento da traffico, la professoressa ammise con orgoglio che, per riguardo dei figli, non apriva mai le finestre della sua casa di Milano per evitare l’ingresso del polveri sottili nei periodi di maggior inquinamento. L’affermazione colpì molto tutti noi alunni, e, sinceramente, non ci sembrò una strategia molto utile.

Più tardi ebbi modo di scoprire fino in fondo quanto fosse dannosa quando studiai la Sindrome dell’Edificio Malato, scoppiata a livello globale a cavallo tra gli anni ’70 e  ’80,  nel momento in cui si scoprì che il 30% dei nuovi edifici costruiti globalmente facevano ammalare i propri occupanti. La colpa fu presto individuata nell’aumento dell’inquinamento indoor (quello che si forma negli ambienti confinati), a sua volta provocato dalla riduzione dei ricambi d’aria per le azioni di risparmio energetico che erano stato adottate in risposta alle due precedenti crisi petrolifere.

In media le persone trascorrono l’80-90% del loro tempo in ambienti chiusi, dove alcuni inquinanti possono concentrarsi nel tempo raggiungendo anche livelli di 10-40 volte superiori a quelli dell’aria esterna. Il problema dell’inquinamento dell’aria esterna (outdoor) si somma allora a quello degli inquinanti prodotti internamente da [21]:

  • suolo e rocce usate per la costruzione; inquinante: il radon, un gas radioattivo che si accumula di solito nei piani inferiori (mappa della situazione italiana per regione);
  • materiali di costruzione e arredi, soprattutto quando nuovi; possibili inquinanti: formaldeide, composti organici volatili (COV, in inglese VOC);
  • combustioni in cucina e per il riscaldamento; possibili inquinanti: monossido di carbonio, biossido di azoto, di zolfo,  e nel caso di tabacco/legna/pellet anche il particolato e gli idrocarburi policiclici aromatici;
  • umidità persistente (è sufficiente la presenza di qualche persona) e mancanza di pulizia dei filtri degli impianti di climatizzazione;  possibili inquinanti: funghi, muffe, batteri (es. legionelle);

Anche i prodotti per la pulizia e le stampanti sono fonti inquinanti. Infine, l’inquinamento outdoor finisce comunque per influire su quello indoor, ad es. per il particolato e gli ossidi di azoto.

Per alcuni individui con una predisposizione genetica all’ipersensibilità, alcuni di questi inquinanti possono essere allergeni attraverso i quali si manifestanopatologie anche in presenza di livelli ridotti e poco significativi per il resto della popolazione.

Difendersi dall’inquinamento almeno nella propria abitazione, dove chi ha un lavoro di ufficio trascorre in media il 59% del suo tempo (di più per bambini ed anziani), non è solo fondamentale per chi vive in aree inquinate, ma paradossalmente anche per chi non ci vive.

Va detto subito che in Italia deve ancora essere emanata una legge quadro sulla qualità dell’aria indoor,per cui non esistono valori limite degli inquinanti negli ambienti (a parte per alcuni nei luoghi di lavoro e un limite di 0,1ppm per la formaldeide) e si fa riferimento ai livelli di legge per l’aria esterna [21].

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Valori di riferimento degli inquinanti indoor secondo l’OMS e alcuni paesi Europei che hanno già legiferato. Fonte: Nota [22].

 

 

LE REGOLE PER CAMBIARE ARIA

Vediamo di dare alcune regole semplici e generali, rinviando a fonti più complete per gli approfondimenti.

La PRIMA REGOLA è cambiare l’aria, almeno due volte al giorno, anche nei periodi in cui l’inquinamento esterno supera i limiti di legge. I momenti migliori, in cui l’inquinamento giornaliero raggiunge il minimo, sono in generale due: mattina presto (tra le 4 e le 6) e nelpomeriggio (tra le 14 e le 17) se non si è in prossimità di vie particolarmente trafficate [23]. Bastano pochi minuti con tutte le finestre aperte in inverno, quando le basse temperature permettono un rapido ricambio dell’aria, senza necessità di sottrarre molto calore alla massa termica interna (edificio ed arredi).

Questi ricambi d’aria sono ancora più importanti se l’edificio ha degli infissi moderni a tenuta d’aria, tanto che a volte in edifici ristrutturati isolando bene i muri e con sostituzione degli infissi, sorgono problemi di inquinamento indoor che vengono segnalati dalla presenza di muffa (accumulo umidità, se non altro per la presenza di occupanti che lo emettono con la normale traspirazione). E’ il motivo per cui le Case Passive sono tutte dotate di ventilazione meccanica con recupero di calore, dimensionata di solito per garantire un ricambio completo d’aria ogni due ore.

La SECONDA REGOLA, se si vive in un’area inquinata, èfiltrare almeno il particolato dall’aria interna. Ci sono ormai in commercio un gran numero di purificatori d’aria, che nella forma più semplice ed efficace non sono altro che un ventilatore per muovere l’aria ed un filtro HEPA (High-Efficiency Particulate Arrestance) che è in grado di trattenere oltre il 99,5% del PM0,3 (diametro 300 millionesimi di millimetro ). Per chi si diletta con il fai-da-te (Do-It-Yourself in inglese, o DIY) può costruirsi con una spesa minima un purificatore d’aria abbastanza facilmente comprando un filtro HEPA della misura giusta e applicandolo ad un ventilatore con del nastro adesivo, come nel video seguente dell’Università del Michigan.

Non deve sorprendere che l’esplosione del mercato dei purificatori d’aria sia avvenuta in Cina negli ultimi anni, proprio a causa degli elevatissimi livelli di inquinamento, e che ben presto si sia scoperto che i purificatori autocostruiti sono efficaci come quelli più costosi sul mercato. Il tutto con un assorbimento di potenza che non supera i 20W (l’equivalente di un paio di lampade a LED).

Molti studi sono stati effettuati sugli effetti positivi dei purificatori d’aria per l’asma, ma finora sono ancora rari quelli effettuati per misurare l’eventuale miglioramento in termini di salute per l’abbattimento del particolato in generale. Una ricerca canadese del 2013 ha mostrato con uno studio in doppio cieco che l’uso di un purificatore per una sola settimana in un ambiente indoor contaminato, apporta chiari benefici in termine di abbassamento della pressione sanguigna e di miglioramento delle funzionalità polmonare [24].

Come ha detto giustamente un medico americano che vive in Cina:

 “per l’amor di Dio, mettetene uno nella camera dei vostri figli“.

La TERZA REGOLA (se viene seguita almeno la prima) è quella di sigillare bene gli infissi se ci si trova in una zona soggetta a forte inquinamento outdoor,  ad esempio in prossimità di vie trafficate (canyon urbano). In questo modo si evita l’infiltrazione dell’inquinamento dall’esterno nelle ore in cui questo è maggiore. Per trovare le perdite di aria basta avvicinare una candela accesa agli infissi e notare dove si piega. Per sigillarli ci sono in vendita vari tipi di guarnizioni adesive che possono essere adattate.

La QUARTA REGOLA è rendersi conto che dobbiamoaffrontare il problema in prima persona. Questo vuol dire imparare a:

  • Usare il proprio naso. La prova più semplice per capire se l’aria è viziata in un ambiente chiuso è quella di annusarla provenendo da fuori, prima che il nostro olfatto sia abituato all’odore. Nello stesso modo è possibile individuare la presenza di muffe, magari nascoste dietro un mobile.  Anche per il fumo di legna vale una semplice regola olfattiva: se è appena percepibile l’odore di fumo, allora il livello di PM10 si aggira almeno intorno ai 50ug/m3, il livello limite per legge [25].
  • Cominciare a ragionare sulle nostre abitudini quotidiane. Ci potrebbe aiutare un misuratore di particolato pm2.5, dal costo contenuto (<200€), c’è un’enorme offerta. Il problema in questo caso è che anche nel caso di strumenti inizialmente precisi, quelli a basso costo non possono essere puliti e ricalibrati, quindi nell’arco di pochi mesi diventano inaffidabili. Ci sono strumenti più costosi, ma naturalmente vanno rispediti alla casa madre almeno una volta l’anno per essere ritarati. In aiuto possono venire alcuni studi che possono aiutarci a capire quali abitudini siano in generale sbagliate. Ad esempio, nelle figure seguenti (cliccare per ingrandire) si può apprezzare l’andamento del particolato in 3 stanze residenziali (cucina, sala e camera da letto) rispetto all’ambiente esterno. Si nota come i maggiori tassi di inquinamento indoor si verifichino in cucina. Nella tabella successiva c’è una ripartizione  tra l’esposizione nelle varie stanze, nel tragitto in auto sino al lavoro (Roma) e in ufficio. Fonte: vedi nota [22, pag 50-55].

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  • Compiere scelte ragionate in fase di acquisto. Ad esempio, quando si intonacano le pareti interne e si comprano mobili, verificare che siano stati usatiprodotti che non rilasciano VOC. Anche quando si acquista un semplice aspirapolvere è importante che abbia un filtro HEPA, altrimenti una normale operazione di pulizia dei pavimenti(che è bene compiere di frequente) si trasforma in un rimescolamento in aria del particolato depositato a terra.

E se dobbiamo stare fuori per molto tempo quando il livello di inquinamento è elevato, ad esempio per lavoro o per svolgere attività fisica, valutiamo se indossare una mascherina antiparticolato. Non costano molto e sono abbastanza efficaci se aderiscono bene al volto (meglio se sono etichettate almeno come  N95 e hanno la valvola per l’aria espirata). Proteggiamo i nostri polmoni, il nostro cuore e mandiamo un messaggio a chi ci vede: c’è qualcosa di sbagliato nell’aria.

Fine.

Di aspoitaliawordpress.com

L’inquinamento? Fa più morti della seconda guerra mondiale. Ma sembra che a nessuno interessi!ultima modifica: 2017-05-31T22:00:50+02:00da eles-1966
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