10 febbraio 1936 – “Ambaradan” – Quando una parola nasce da un genocidio. Dove il fascismo mostrò il suo volto disumano.

 

Ambaradan

 

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10 febbraio 1936 – “Ambaradan” – Quando una parola nasce da un genocidio. Dove il fascismo mostrò il suo volto disumano.

Ambaradan – Quando una parola nasce da un genocidio.

Amba Aradam – Dove il fascismo mostrò il suo volto disumano.

Non dovremmo più usare la parola ambaradan, eppure è una bella parola, dà l’idea dello scompiglio, del disordine non voluto. Quasi onomatopeica risuona all’orecchio come simpatica.

Invece, a sfatare il mito di “Italiani brava gente”, è lì a ricordarci di un periodo storico che può rimpiangere solo chi non lo ha vissuto o si nutre di propaganda fascista.

Dal ’29 il Duce, in un attacco di megalomania, decise che l’Italia sarebbe dovuta tornare come ai tempi dell’Impero Romano: aquile imperiali, fasci littori e, soprattutto, colonie. L’Etiopia poteva andare bene, un territorio ricco e un esercito povero.

Fu così che l’Italia nel ’35 decise di attaccarla e nel ’36 Mussolini dichiarò la nascita dell’Impero.

Quello che la storia non ci dice o tenta di nascondere sono le porcate che seguirono. In particolare ricorderei la battaglia di Amba Aradam, un monte nelle cui grotte si rifugiò una compagine dell’esercito etiope, con donne, anziani e bambini al seguito, decisa a non darla vinta agli invasori.

Mussolini ordina di stanarli ma l’impresa risulta non priva di difficoltà. Così si decide di fare intervenire i granatieri muniti della famigerata iprite, un gas che provoca la morte fra indicibili sofferenze. I sopravvissuti, circa 800 furono fucilati subito dopo. Ulteriori sopravvissuti, specie donne e bambini rifugiatisi nei meandri delle molte caverne che perforavano il monte furono sterminati a colpi di lanciafiamme.

Il massacro isolò il Duce sul piano internazionale e lo portò all’alleanza con Hitler dal quale fu subito convinto a promulgare le leggi razziali con le conseguenze che tutti (o quasi) conosciamo.

E pensare che qualcuno ancora lo rimpiange…

 

La battaglia di Amba Aradam

Il 10 febbraio del 1936, alle 8 del mattino, il generale Pietro Badoglio lanciò il primo attacco della battaglia dell’Amba Aradam. L’esercito italiano, alleato con tribù locali, era composto da soldati regolari e da volontari delle camicie nere, mentre gli ascari formavano la riserva.

L’11 febbraio gli Italiani accerchiarono l’Amba Aradam. I primi scontri avvennero il 12 febbraio 1936 a partire dalle 9:30, sulla sinistra dello schieramento italiano, dove le armate etiopi impegnarono sul costone Endà Gabér le Camicie Nere della 4ª divisione “3 gennaio”. Gli attacchi vennero condotti dai soldati del Degiac Uodagiò Ubié, appoggiati da un nutrito fuoco di mitragliatrici e di cannoncini da 47 mm. I combattimenti si conclusero nei dintorni del villaggio di Taga Taga, con la ritirata delle truppe abissine. La sera del 14 febbraio 1936 le truppe italiane avevano raggiunto le posizioni desiderate e si unirono all’artiglieria per l’assalto finale.

È il 15 febbraio del 1936 quando l’esercito italiano prova a piegare la resistenza locale una volta per tutte.

Si rivolge anche a delle tribù mercenarie, che però passano da una fazione all’altra a seconda della cifra offerta. Nei fatti, non si riesce a capire contro chi si stia combattendo. Insomma, «è tutto un ambaradan». (L’espressione nasce alla fine della guerra, quando i reduci la usano per descrivere situazioni di confusione durante una battaglia. «Proprio come ad Amba Radam». Da lì, per crasi, è diventata una parola unica. E per dei difetti di pronuncia, protrattisi negli anni, la “m” finale si è trasformata in “n”).

La battaglia dell’Amba Radam si risolve grazie al gas iprite rilasciato a bassa quota dall’aviazione. Anche sui civili. A terra, i soldati sparano proiettili all’arsina e al fosgene, fortemente tossici. Di fatto, si tratta di una evidente, ma rinnegata per decenni, violazione della Convenzione di Ginevra del 1928. L’iprite attacca le cellule con cui entra in contatto, distruggendole completamente. Causa infiammazioni, vesciche e piaghe, agisce anche sulle mucose oculari e sulle vie polmonari. La sofferenza è disumana. A battaglia ormai vinta vengono chiuse le vie d’uscite delle grotte dell’Amba Aradam dove erano alcuni partigiani etiopi, ma anche civili, donne e bambini.

Tutti massacrati dall’artiglieria o avvelenati dai gas. Chi sopravvive all’iprite è arso vivo con i lanciafiamme.

Dei circa 20.000 Etiopi che parteciparono alla battaglia ne sopravvissero solo pochi, circa 800. Ma non per molto: gli “Italiani brava gente” li fucilarono subito!

 

By Eles

 

 

 

10 febbraio 1936 – “Ambaradan” – Quando una parola nasce da un genocidio. Dove il fascismo mostrò il suo volto disumano.ultima modifica: 2020-02-09T23:16:56+01:00da eles-1966
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