Filomena Lamberti: “Io, che non ho avuto giustizia” – Quando la vita di una Donna vale appena 15 mesi di carcere…!

 

Filomena Lamberti

 

 

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Filomena Lamberti: “Io, che non ho avuto giustizia” – Quando la vita di una Donna vale appena 15 mesi di carcere…!

 

 

Filomena era una ragazza di 16 anni quando una sera, a ballare con un gruppo di amici, conobbe un uomo poco più grande di lei, Vittorio. Era la Salerno di fine Anni 70. Lui la corteggiò, si innamorarono. Dopo i primissimi tempi felici, Filomena si accorse che il suo fidanzato aveva un problema con l’alcol. Voleva aiutarlo a uscire dal tunnel, era convinta di salvarlo. Ma quella dipendenza iniziò a far emergere ed esasperare un’indole violenta che l’uomo aveva dentro di sé. Iniziarono le urla, gli schiaffi, le botte. Vittorio era ossessionato dal fatto che qualcuno potesse portargli via Filomena, perseguitato dal pensiero che lei lo tradisse. Qualunque cosa lo mandava in bestia: un sorriso di lei al barista a cui chiedeva un caffé, il solo fatto che rivolgesse la parola a un uomo che non fosse lui. Fino a quando, in viaggio di nozze, dove Filomena era incinta del loro primo figlio, Vittorio, in preda all’alcol, la massacrò di botte a casa di un amico che li ospitava perché aveva osato aiutarla con la valigia per le scale. Filomena diventò una «puttana», una che si faceva aiutare da un altro uomo.

VIOLENZE E DIVIETI

Da lì non si tornò più indietro: iniziò un’escalation di violenze e privazioni, diventata la normalità per quella donna, durata oltre 30 anni. Trent’anni di prigione, vivendo con i divieti che Vittorio le aveva imposto: non poteva per nessun motivo uscire di casa da sola, nemmeno per bere un caffè con la vicina, non poteva truccarsi. Divieti che dopo tanti anni di sottomissione Filomena iniziò a ignorare: si ribellava durante le discussioni violente, rispondendo agli insulti che lui ogni giorno le sputava addosso gratuitamente. Si iscrisse a Facebook per rintracciare una parente, nonostante lui le impedì categoricamente di farlo. Si truccò per la prima volta in occasione del matrimonio di un nipote, altra pratica impensabile per la mentalità di suo marito. Finché nel dicembre 2011, Filomena disse al marito che avrebbe voluto separarsi da lui, ma che avrebbe aspetattato il matrimonio del figlio.

LA VENDETTA CON L’ACIDO

Il 28 maggio 2012 la vita di questa donna cambiò per sempre: Vittorio prese dalla pescheria in cui lavorava dell’acido muriatico. Si svegliò all’alba e, mentre Filomena dormiva, glielo lanciò addosso. Trovò il modo per punirla, sfigurandola per sempre, costringendola a non riconoscersi più e ad affrontare 30 operazioni chirurgiche. L’aspetto più spaventoso di questa storia è che mentre Filomena era ancora ricoverata in ospedale, al Caldarelli di Salerno, lui uscì dal carcere: aveva scontato, patteggiando, una pena di 15 mesi. Così da cinque anni Vittorio Giordano è di nuovo un uomo libero: esce, lavora ancora nella stessa pescheria di famiglia. E alle Iene ha raccontato di non essersi pentito di quel che ha fatto alla madre dei suoi figli. Perché «se lo meritava».

DOMANDA. Filomena, innanzitutto come sta?
RISPOSTA. 
Sto bene perché oggi vivo, finalmente. Ma ovviamente il danno è stato fatto. E rimarrà per sempre.

Com’è la sua vita oggi?
Vado nelle scuole a parlare con i ragazzi e le ragazze. Credo che il messaggio debba arrivare ai giovani. Loro, lo dico sempre, sono le coppie del futuro. Le donne mature spesso si abituano alle violenza per svariati motivi, dalla dipendenza economica alla preoccupazione per i figli. Sulle nuove generazioni dobbiamo investire.

Le storie di violenza sono frequenti anche tra i giovani?
Assolutamente. Quando parlo con loro mi accorgo subito se c’è qualcuno che ha un malessere. Sabato scorso sono stata in un liceo qui a Salerno, c’erano 600 ragazzi, e una di loro ha accettato di farsi aiutare. L’abbiamo invitata a Spazio Donna a parlare con avvocate e psicologhe. Io, dopo quello che mi è successo, cerco di far capire loro che bisogna prima ragionare con la testa e poi con il cuore.

Il suo matrimonio è stata una prigione per 35 anni. All’epoca, cosa le impediva più di ogni altra cosa di uscire da quell’inferno?
Allora si lavorava assieme, non avevo un’indipendenza economica ed ero madre di tre bambini: la paura era che me li potessero togliere. Le domande a cui non sapevo dare risposte erano tante. E così andavo avanti.

Se tornasse indietro?
Anche se non avessi un soldo me ne andrei lo stesso. Non è bello far assistere i propri figli ad anni di violenze. Se le portano dietro per sempre.

Lei ha tre maschi, oggi adulti. Con loro come si comportava?
Sì, hanno dai 28 anni ai 33 anni. All’epoca cercavo di non farmi mai vedere piangere, nemmeno dopo le botte. Ma era tutto sbagliato: avrebbero potuto abituarsi a quella violenza che respiravano, il rischio era che una volta cresciuti l’avessero trasmessa a loro volta.

Aveva paura che succedesse?
Sì. Il 90% di uomini violenti viene da famiglie violente. Io mi ritengo fortunata sotto questo aspetto. I miei figli hanno reagito al contrario.

Quando vi siete conosciuti il suo ex marito aveva problemi di dipendenza dall’alcol. Dopo quanto iniziarono le violenze?
Certo, e io pensavo che lo avrei salvato, l’errore che facciamo sempre noi donne. Già nei primi anni di fidanzamento iniziava a proibirmi le cose. E anche se mi dava uno schiaffo era bravissimo a farsi perdonare, a chiedere scusa. E lì, come tante donne, restavo nella speranza che fosse stata l’ultima volta.

Era violento anche quando era incinta del primo figlio.
Sì, non si fermò nemmeno davanti alla gravidanza. Il giorno che mi picchiò in viaggio di nozze aveva bevuto tantissimo.

«I miei vicini sentivano cosa succedeva a casa mia, ma nessuno ha mai fatto qualcosa, neanche con una semplice telefonata ai carabinieri. L’indifferenza ammazza le persone».

Non riusciva a parlare con nessuno di quello che stava vivendo?
No: l’uomo violento è molto astuto, ti isola da tutti. Fa in modo che tu non chieda aiuto a nessuno. Anzi, arriva un momento in cui sono gli altri ad allontanarsi da te.

C’erano persone a conoscenza della situazione ma che non sono intervenute?
Sì, soprattutto nel mio palazzo: i vicini sentivano cosa succedeva a casa, ma erano tutti omertosi. Nessuno ha mai fatto qualcosa, neanche con una semplice telefonata ai carabinieri. L’indifferenza però ammazza le persone. Bisogna agire prima che sia troppo tardi, non aspettare il morto e poi dire: «Io sapevo, io vedevo». Non mi è servito a niente.

Non aveva il ‘permesso’ nemmeno di truccarsi.
Per carità, era tutto vietato. La prima volta che mi sono truccata è stata per il matrimonio di un suo nipote, da lì non ho smesso più. E ho iniziato a fregarmene.

Cosa fece scattare questo cambiamento in lei?
Il momento in cui mio figlio ebbe una reazione molto forte, si scontrò con il padre. Lì ho capii che mi potevo appoggiare a qualcuno. E in lui ho trovato una spalla. Però poi è passato poco tempo dall’aggressione, è successo circa un anno dopo.

Una ventina di giorni prima dell’aggressione lei trovò sul comò il borsello di suo marito corroso, praticamente sciolto da una sostanza.
Sì. C’era una bottiglietta che iniziò a colare corrodendo tutto. Lui si giustificò dicendo che voleva fare uno sgarro a un uomo, glielo voleva mettere nel motore dell’auto… tutte bugie. Meno di un mese dopo venne con la bottiglia piena e me lo lanciò mentre stavo dormendo.

Lei credette a quelle bugie?
No, affatto. Infatti portai tutto ai carabinieri (il suo borsello, le mie maglie e il suo cellulare sciolti) ma rimasi molto delusa: dissero che quella roba avrei dovuto portarla ad analizzare io, allora mi infuriai e me ne andai.

In che senso?
Mi dissero: «Signora, deve fare analizzare questi oggetti per capire di che liquido si tratta». L’unica cosa di cui mi sono pentita è che in quella occasione avrei dovuto sporgere denuncia. Ho avuto una reazione impulsiva.

Quante operazioni ha dovuto affrontare dopo l’aggressione?
Trenta, l’ultima due anni fa. Ma mi sono voluta fermare io perché sono stanca, stanca di entrare e uscire dalla sala operatoria. Più di così per il mio viso non si può fare, così dopo mesi e mesi di ospedale ho detto «basta».

Oltre al viso, a livello fisico quali conseguenze si porta dietro?
Il mio braccio sinistro è stato molto colpito e la pelle mi tira tantissimo, fatico ad alzarlo, a stenderlo. Non ha più una flessibilità normale. E poi la mia vista è danneggiata: da lontano non vedo bene, il sole mi acceca.

Ha mai pensato di non riuscire ad affrontare tutto questo?
Certo, ovviamente ci sono stati momenti di sconforto. Per esempio la prima volta che mi sono rivista allo specchio non immaginavo la dimensione del danno che mi aveva fatto. Non mi riconoscevo più. Ci sono stati momenti di depressione, credo sia normale.

E dove ha trovato la forza di reagire?
Mi sono detta: «Se sono rimasta in vita, devo andare avanti avanti». L’altro pensiero che mi dava molta forza era sapere che da quel momento in poi sarei rimasta sfigurata, sì, ma ero finalmente una donna libera.

E ha trovato supporto negli altri, finalmente?
Sì, ho avuto la fortuna di conoscere le amiche di Spazio Donna a Salerno, che mi hanno aiutato tantissimo psicologicamente. Devo molto a loro. Sono state una salvezza in un momento davvero critico. Da soli non si va da nessuna parte.

«Il processo è stato scandaloso, una seconda violenza inflitta su di me. Nessuno conosceva le mie condizioni».

Parliamo della condanna del suo ex marito?
È stato un processo scandalosissimo, una seconda violenza inflitta su di me. Sono incappata in una avvocata incapace, il pm e il giudice lo erano altrettanto. La cosa più allucinante è stato che nessuno ha ritenuto necessario vedermi.

Ha scontato appena 15 mesi.
Sì, ha patteggiato la pena. Non abbiamo potuto più riaprire il processo.

Non è mai stata chiamata in tribunale.
No, ero ancora in prognosi riservata quando il processo è finito. Si è concluse il 25 giugno, il processo più veloce della storia della magistratura italiana.

Come è stato possibile che sia stato accusato di lesioni aggravate e non di tentato omicidio?
Nessuno mi ha mai vista, e nemmeno l’avvocata incapace che ho nominato di fiducia è mai venuta al Caldarelli a prendere dei referti, delle foto.

Quindi nessuno ha verificato le sue condizioni fisiche?
Esatto, nessuno se ne è preoccupato. Faccio sempre un esempio pratico: un perito dell’assicurazione, cosa fa per valutare il danno? Deve vedere la macchina dopo l’incidente. Ripeto, la mia avvocata non è nemmeno venuta in ospedale.

E il suo ex marito è un uomo libero, lavora ancora nella ‘vostra’ pescheria. L’ha più visto?
Sì, ha riaperto l’attività. No, mai. Dall’udienza per la separazione nel 2013.

Non ha più paura oggi, sapendo che è libero?
No, assolutamente. Ormai quello che voleva fare l’ha fatto. Se avesse voluto ammazzarmi credo l’avrebbe fatto all’epoca.

Non ha mai mostrato nessun segno di pentimento.
Me lo aspettavo. Che pentimento può avere un uomo del genere? Uno che ha premeditato di lanciarmi dell’acido addosso mentre dormivo e non potevo nemmeno provare a difendermi?

I suoi figli hanno ancora rapporti con il padre?
No. Se si incontrano per strada si salutano, questo sì. Ma non si vedono.

Lui non l’ha nemmeno risarcita. Come si mantiene?
No, non mi ha dato un soldo. Purtroppo ho fatto i salti mortali per avere una minima protezione di 285 euro al mese.

È disoccupata?
Sì, il mio braccio sinistro non funziona bene. E anche la vista ha dei problemi. Non posso lavorare.

Che intenzioni ha oggi?
Stiamo provando a portare il caso a Strasburgo alla Corte dei Diritti umani. Ci vorrebbero molti soldi, ma vediamo cosa si può fare. Almeno a livello giuridico, qualcuno deve pagare.

 

 

fonte: https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2019/05/27/filomena-lamberti-intervista-marito/28397/?fbclid=IwAR0zKOifANXNIFs6p3-nh7pn94cz49pvQqBThmrHmk3fyilmLpODZ_lEiwQ

Filomena Lamberti: “Io, che non ho avuto giustizia” – Quando la vita di una Donna vale appena 15 mesi di carcere…!ultima modifica: 2019-09-21T13:01:57+02:00da eles-1966
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