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Saluggia – L’allarme nucleare italiano lanciato dal premio Nobel Rubbia, ignorato da 17 anni… Siamo seduti su una polveriera, ma a nessuno frega niente!
Saluggia, l’allarme nucleare di Rubbia ignorato da 17 anni
Siamo seduti su una polveriera. Se i 270 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi – di cui 125 a elevatissima pericolosità – dell’ex impianto Eurex di riprocessamento del combustibile nucleare di Saluggia (Vercelli) fuoriuscissero dai serbatoi, causerebbero un incidente paragonabile a quello di Chernobyl del 1986. Lo attesta una lettera del 2001 a firma del premio Nobel per la Fisica e senatore a vita Carlo Rubbia, che certifica il grave rischio che perdurerà finché quei liquidi non saranno cementificati.
Il Fatto ha ottenuto la lettera, indirizzata all’allora ministro dell’Industria Enrico Letta. Non è mai stata divulgata: “Le perdite di radioattività nel fiume causerebbero gravissime contaminazioni in vaste regioni adiacenti al fiume Dora e Po, i terreni allagati dall’acqua contaminata sarebbero inutilizzabili per decine di anni; la contaminazione del mar Adriatico porterebbe grave pregiudizio alla popolazione, al turismo, alle alghe e al patrimonio ittico per lunghi anni; le attività agricole e industriali della Pianura padana sarebbero gravemente compromesse; vaste aree densamente popolate andrebbero evacuate; ciò nonostante, la dose collettiva (di radioattività) alla popolazione sarebbe confrontabile a quella dei maggiori incidenti nucleari della storia recente”, si legge. La popolazione sarebbe esposta a una dose di radioattività collettiva di 150 mila Sievert x uomo. Quella del dopo-Chernobyl “fu di 600 mila Sievert x uomo”, e quella a seguito dello sversamento nel 1957 “di liquidi simili nel fiume Techa (ex-Urss) fu di 15 mila Sievert per uomo”, scrive Rubbia. “Il numero di casi indotti di cancro fu 7 mila”, mentre “i danni più a lungo termine sono sconosciuti”. Il premio Nobel si basava su un’analisi qualitativa da lui condotta “e che tengo a disposizione”, ma che non è allegata alla lettera.
Dal 2010, Sogin ha indetto quattro gare per la costruzione dell’impianto di solidificazione, il Cemex. Nessuna è andata a buon fine. L’ultima è stata vinta da un consorzio capitanato da Saipem, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, che doveva costruire Cemex entro giugno 2019 per 98 milioni di euro. Nel 2017 Sogin ha risolto il contratto con Saipem per “gravi inadempimenti” e “manifesta incapacità”. Saipem chiede 70 milioni di risarcimento a Sogin, il contenzioso è aperto.
L’altro pericolo, per il Nobel, erano i terremoti. Saluggia è in una zona a bassa pericolosità sismica, ma il rischio non è zero. Scendere sotto lo standard della cementificazione significa esporsi a “una probabilità piccolissima, ma senza sapere esattamente quanto piccola sia, per l’accadimento di un incidente di vastissime e intollerabili proporzioni”, scriveva Rubbia.
“Il bunker risponde ai migliori standard internazionali per lo stoccaggio temporaneo di questi rifiuti”, spiega Sogin: serbatoi, bunker e impianto Eurex resistono a terremoti intensi fino al VII grado della scala Mercalli e all’impatto aereo, “anche di linea” (ma Sogin non rilascia i documenti che lo certificano). Lamberto Matteocci, vicedirettore di Isin, sostiene invece che sia stato testato solo per impatti con “aerei militari, non di linea”. Chi ha ragione? Nel 2003, l’allora direttore del servizio segreto Sismi, Nicolò Pollari, alla Camera, parlando di Saluggia, spiegava come quei rifiuti “meritino un’attenzione prioritaria, perché ́rappresentano un pericolo non controllabile”. Disse che i serbatoi non erano a prova di impatto con aerei di linea, ma solo militare. L’aeroporto Caselle di Torino è a poche decine di chilometri. Nonostante Sogin rassicuri, l’anno scorso Roberto Mezzanotte, ex direttore del dipartimento Nucleare, Rischio Tecnologico e Industriale di Ispra, da poco deceduto, definì Saluggia “la maggiore criticità italiana”.