Il problema dell’Africa? Si chiama Francia – E ricordiamoci di quando Nicolas Sarkozy diceva: “Non possiamo permettere alle colonie francesi di avere le loro proprie monete, sarebbe la catastrofe dell’economia francese”

 

Africa

 

 

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Il problema dell’Africa? Si chiama Francia – E ricordiamoci di quando Nicolas Sarkozy diceva: “Non possiamo permettere alle colonie francesi di avere le loro proprie monete, sarebbe la catastrofe dell’economia francese”

 

 

Il problema dell’Africa si chiama Francia
“L’Africa, per dimensioni geografiche, demografiche e dotazione di risorse naturali, è il continente dalle più elevate e rosee prospettive di sviluppo e crescita del mondo, ma l’esistenza di un disegno neo-coloniale noto come ‘Françafrique’ ne ha determinato il sottosviluppo cronico.”
di Emanuel Pietrobon – 15 giugno 2018 
“La Francia è una delle poche (ex) potenze del defunto sistema europeo ad aver preservato e perpetuato dei disegni egemonici su quel che fu il suo impero coloniale, nonostante la perdita di potere relativo, sia in Europa che nel mondo, e l’affermazione di un nuovo ordine internazionale non più eurocentrico. In principio fu Charles de Gaulle a voler impedire l’involuzione della Francia da una grande potenza mondiale ad una potenza regionale in declino ed in posizione periferica nel nuovo ordine post-bellico. A questo scopo, la Francia si dotò dell’arma atomica e tentò di riconquistare gli ex territori imperiali africani attraverso una politica di neocolonialismo economico seguendo l’ambizioso quanto visionario piano per l’Africa francofona elaborato da Jacques Foccart, uno dei più importanti ideologhi e strateghi dell’era gollista. Il piano di rinascita neoimperiale per la Francia di Foccart non puntava soltanto alla riconquista dell’Africa, ma all’espansione su ogni territorio francofono del mondo. In questo contesto si inquadrano il sostegno fornito dallo Sdece, i servizi segreti per l’estero, al movimento separatista quebecchese, e quel controverso “Vive le Québec libre!” gridato da De Gaulle alla folla di Montreal nel 1967.
Québec a parte, le mire francesi, dal gollismo ad oggi, si sono rivolte verso l’Africa francofona, di cui si è tentato di condizionarne in ogni modo le dinamiche economiche e politiche attraverso omicidi politici, colpi di Stato, sostegno a dittature militari e gruppi terroristici, alimentazione di guerre civili e conflitti inter-etnici, creando nel tempo una sfera d’influenza egemonica ribattezzata Françafrique, sostanzialmente estesa sull’intero ex impero coloniale. Foccart è stato il potere dietro la corona da De Gaulle a Jacques Chirac, chiamato per fornire pareri, elaborare strategie, effettuare missioni diplomatiche segrete, dal 1960 al 1995. Si può affermare che Foccart è stato per la Francia, ciò che Henry Kissinger è stato per gli Stati Uniti, ossia, uno stratega guidato da visioni tanto intelligentemente lungimiranti quanto subdolamente imperialistiche. La Françafrique è una realtà multidimensionale, agisce infatti sul piano economico, politico, diplomatico ed ideologico di numerosi paesi, dal Magreb al Sahel, all’Africa sub-sahariana.

La sottomissione economica è essenzialmente esplicitata nell’esistenza della cosiddettaarea franco, di cui fanno parte 14 paesi africani, obbligati ad utilizzare il franco CFA, della cui convertibilità in euro si occupa il Ministero dell’economia e delle finanze francesi. L’appartenenza all’area franco prevede inoltre che i paesi membri depositino almeno il 65% delle riserve di moneta estera in Francia. Inoltre, le grandi realtà francesi dei settori energetico e minerario godono di trattamenti privilegiati nello sfruttamento del territorio e nella divisione dei profitti con gli Stati. La dimensione politico-diplomatica riguarda le pressioni fatte ai paesi della Françafrique affinché essi sostengano gli interessi nazionali, le posizioni e le dottrine di politica estera francesi in sede internazionale, ad esempio in luogo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La dimensione ideologica ha riguardato inizialmente il contenimento delle spinte anticoloniali di liberazione nazionale durante l’epoca della decolonizzazione, in seguito si è concentrata sul contenimento dei movimenti comunisti nel continente foraggiati dall’Unione Sovietica, ed oggi è principalmente focalizzata su due fronti: la competizione con l’Italia per l’egemonia su Libia e Tunisia ed il contenimento dell’espansionismo sinico, quest’ultimo molto più difficile del primo obiettivo, tanto che nel vocabolario di politologi e geopolitici è entrato a pieno titolo il neologismo Cinafrica.

I numeri della Françafrique sono impressionanti: oltre 40 interventi militari diretti tesi a difendere regimi filo-francesi, sia democratici che dittatoriali, o ad aiutare dei ribelli a rovesciare dei regimi ostili. Attualmente, la Francia è legata a 12 paesi da accordi militari di tipo difensivo, ed è presente in 10 paesi con delle missioni militari, per un totale di oltre 5mila unità presenti. Dietro la scusante della guerra contro l’imperialismo delle multinazionali occidentali, la Francia ha utilizzato la compagnia di sicurezza privata dello storico mercenario Bob Denard per combattere in Katanga e Biafra, e tentare dei cambi di regime in Gabon, Angola, Zimbabwe, Benin, Repubblica Democratica del Congo ed Unione delle Comore. Lo Sdece è stato il principale strumento di difesa della Françafrique, coinvolto pubblicamente o presuntamente in numerosi omicidi politici, soprattutto di leader carismatici noti per le loro denunce nei confronti della sottomissione del continente all’imperialismo occidentale: Ruben Um Byobe e Félix-Roland Moumiédell’Unione Popolare del Camerun, Barthélemy Boganda del Partito Nazionalista Centrafricano, l’oppositore politico ciadiano Outel Bono, l’attivista anti-apartheid Dulcie September, sino ad arrivare ai mostri sacri del fronte nazionalista africano Thomas Sankara e Patrice Lumumba.

Spesso e volentieri i governi francesi hanno sfruttato le tensioni interetniche e interreligiose presenti nei paesi più etno-religiosamente eterogenei per alimentare guerre civili decennali, attraverso le quali mantenere i regimi più ostili, o i territori più ricchi, in un costante stato di assedio e sottosviluppo, utilizzato per acquistare a basso costo materie prime contrabbandate da terroristi e ribelli: un vero e proprio capitalismo di rapina. Fra il 1967 e il 1970, la Francia è stata coinvolta attivamente nella guerra del Biafra, sostenendo i secessionisti attraverso armi, capitale, mezzi, mercenari, viveri. Insieme all’intervento in Libia del 2011, la guerra del Biafra rappresenta uno dei capitoli più cupi della storia della Françafrique. La Francia era intimorita dalla prospettiva che la Nigeria, una delle economie più dinamiche del continente, potesse cadere sotto influenza britannica o sovietica, pertanto alimentò il malcontento presente fra le forze armate e l’etnia Igbo nei confronti del governo centrale per dar luogo ad un movimento secessionista che frazionasse il paese in maniera permanente. Furono Foccart, la Michelin e la Société Anonyme Française de Recherches et d’Exploitation de Pétrolières (Safrap), a convincere De Gaulle, demoralizzato dagli insuccessi in Algeria e nel Katanga, ad introdursi nella nascente questione nigeriana per accaparrarsi le importanti riserve di greggio presenti nel Biafra.

Un delicato lavoro di diplomazia segreta effettuato da Foccart portò numerosi paesi, europei e africani, a sostenere la Francia nella guerra segreta contro la Nigeria, fra i quali Israele, Portogallo, Spagna, Rhodesia, Gabon, Sud Africa, Costa d’Avorio, che aiutarono i secessionisti inviando loro armi, scambiando informative d’intelligence, addestrandoli. Un ruolo di fondamentale importanza fu svolto anche dalle organizzazioni non governative, segno precursore del prossimo avvento delle nuove guerre descritte da Mary Kaldorall’indomani dell’implosione della Jugoslavia; infatti gli aerei della Croce Rossa francese furono utilizzati per trasportare carichi di armi ai secessionisti. In concomitanza all’appoggio francese ai secessionisti, l’autoproclamato governo del colonnello Ojukwu introdusse corsi di lingua francese nelle scuole del Biafra e firmò delle importanti concessioni petrolifere alla Safrap. Inoltre fu messa in moto un’efficace macchina propagandistica tesa a dipingere negativamente il governo nigeriano agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, in modo tale da legittimare l’intervento francese nel paese. L’agenzia di stampa fittizia Biafra Markpress, con sede a Ginevra, finanziata dallo Sdece, diventò la principale fonte d’approvvigionamento delle maggiori testate giornalistiche europee, sfornando oltre 250 approfondimenti sulla guerra del Biafra.

Il governo nigeriano fu accusato di aver ridotto in carestia la popolazione biafrana attraverso blocchi navali ed aerei, con l’obiettivo di depurare il paese della componente Igbo. Diversi giornali, tra cui Le Monde, iniziarono a parlare di genocidio. Una storia di terrorismo psicologico e guerra di informazione molto familiare, se si pensa alle bufale prodotte dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, gestito da un solo individuo, e finanziato dal governo britannico, sin dallo scoppio della guerra civile siriana, allo scopo di plagiare l’opinione pubblica mondiale e creare una falsa immagine sul ruolo delle parti in conflitto. L’intervento in Libia del 2011, fortemente voluto dall’allora presidente della repubblica Nicolas Sarkozy, ha riconfermato l’importanza per la Francia di avere l’intero continente sotto la propria egemonia. La caduta di Gheddafi ha significato non soltanto la ri-tribalizzazione della Libia, oramai considerabile uno Stato fallito comparabile alla Somalia, ma anche tante altre cose: il ridimensionamento della posizione geopolitica dell’Italia nel Mediterraneo e in Nord Africa, la caduta del paese in una guerra civile che lo ha reso vulnerabile all’avanzata del Daesh e alla radicalizzazione dei più giovani, la fine del patto italo-libico per il controllo dei confini marittimi ed il contrasto all’immigrazione clandestina.

L’interventismo francese nei confronti di un paese tradizionalmente vicino all’Italia è stato reso possibile anche e soprattutto dall’assenza di una classe politica nostrana realmente votata all’interesse nazionale. Quando nel 1986 gli Stati Uniti decisero di reagire militarmente all’attentato alla discoteca La Belle di Berlino, imputato ai servizi segreti libici, con l’operazione El Dorado Canyon, l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi, suggerito dall’allora ministro degli esteri Giulio Andreotti, decise di avvertire Gheddafi dell’imminente attacco e negò l’utilizzo dello spazio aereo ai velivoli della US Air Force, nella consapevolezza che la destabilizzazione della Libia avrebbe significato instabilità nel Mediterraneo, quindi lungo le coste italiane. Oggi assistiamo ad un ritorno dell’interesse nazionale al centro dell’agenda politica del governo italiano, con il ministro dell’interno Matteo Salvini che ha dichiarato di avere in programma un viaggio in Libia con l’obiettivo di risolvere definitivamente la crisi dei migranti, sulla falsariga di quanto già fatto dal suo predecessore Marco Minniti.

La Francia ha esteso i tentacoli della Françafrique anche in Libia a detrimento di un alleato, membro dell’Unione Europea e della Nato, che ha poi patito, e continua a patire, interamente i costi di quell’azione antistorica. L’Africa non conoscerà una vera crescita economica ed una duratura stabilità sociale fino a che la Françafrique esisterà, dal momento che essa si nutre del mantenimento del continente in uno stato di violento asservimento. Allo stesso modo, l’Italia non potrà risolvere la questione dei migranti che andando alla radice: il Sahel, perché è da lì che partono le principali carovane, e sempre lì la Francia ha dispiegati uomini e mezzi, e ha politici sul libropaga, potendo determinare l’arresto dei flussi migratori e generando condizioni di sviluppo che, migliorando la qualità della vita delle popolazioni locali, possano creare nel continente le opportunità che in migliaia continuano a cercare disperatamente alla volta dell’Europa. “

 

Nicolas Sarkozy: “Non possiamo permettere alle colonie francesi di avere le loro proprie monete”

Da anni si discute sui problemi causati dai flussi migratori dall’Africa verso l’Europa.
Poco o nulla, però, si dice sulle cause della povertà in molti paesi africani che mettono in moto i meccanismi migratori.
Condividiamo con voi questo articolo del 08.01.2016 in cui si fa riferimento ad una intervista rilasciata da Nicolas Sarkozy e in cui si illustrano i meccanismi finanziari attraverso i quali la Francia impedisce lo sviluppo economico dei paesi africani.
http://lafriqueadulte.com/nicolas-sarkozy-pas-question-de-laisser-les-colonies-francaises-dafrique-avoir-leurs-propres-monnaies/

Questo martedì il presidente del Partito Repubblicano, l’ex presidente della Repubblica Francese Nicolas Sarkozy ha nuovamente manifestato dei propositi inquietanti per molti Africani.

Il franco CFA (franco delle colonie francesi d’Africa) è il nome di due monete comuni a diversi paesi africani, costituiti dalla zona del Franco dell’Africa Centrale (CEMAC) e dalla zona del Franco dell’Africa Occidentale (UEMOA). In Africa le zone del Franco costituiscono degli spazi monetari ed economici. Questi aggregati, formati da stati e territori, derivano dall’evoluzione e dalle trasformazioni dell’antico impero coloniale francese e da stati che non erano colonie francesi, come il Camerun ed il Togo (ex colonie tedesche), la Guinea equatoriale (ex colonia spagnola) e la Guinea Bissau (ex colonia portoghese). Dopo l’ottenimento dell’indipendenza la maggior parte degli stati sono restati in un’area monetaria omogenea, il cui quadro istituzionale è stato rinnovato, venendo strutturato per un sistema di scambio comune. Le loro divise dono dei contro-valori a parità fissa con l’euro, il cui valore è garantito dal Tesoro Pubblico francese, nel quadro del Trattato di Maastricht.

In occasione di una intervista a BFMTV avrebbe dichiarato che il miglior modo di preservare la buona salute dell’economia francese è di mantenere il franco CFA come la sola moneta utilizzabile nelle colonie francesi in Africa.
[il video ad oggi non risulta più reperibile su internet, probabilmente è stato fatto rimuovere]

“La Francia non può permettere che queste ex colonie creino una loro propria moneta per avere il controllo totale sulla loro banca centrale. Si questo avvenisse, sarebbe una catastrofe per il Tesoro Pubblico che potrebbe far scendere la Francia al 20 ventesimo posto nell’economia mondiale. Non possiamo permettere alle colonie francesi di avere le loro proprie monete!”

Le personalità politiche africane non hanno ancora reagito a queste nuove proposte polemiche. Attendiamo di vedere ciò che i capi di stato dei paese interessati diranno a questo riguardo.

Dobbiamo innanzitutto precisare che la Banca di Francia ha un conto per ciascuna delle banche centrali (uno per la zona UEMOA e uno per la zona CEMAC) e un conto per ciascuno degli stati membri delle zone.

Ecco come funziona : quando un paese della zone CFA esporta verso un paese diverso dalla Francia, raccoglie delle valute estere che alimentano la banca centrale di riferimento. E questa banca centrale ha quindi l’obbligo di trasferire sul suo conto aperto presso la Banca di Francia almeno il 50% dei propri incassi in valuta estera. (Al momento della creazione delle due zone CFA era previsto il 100%, poi una prima riforma del 1973 ridusse l’obbligo al 65% e in seguito al 50%, a partire dal 2005).

A tutt’oggi, quindi, è la Banca di Francia che gestisce il 50% della valuta estera dei paesi delle due zone Francvo CFA.
Ad esempio, se esportate dei vestiti dal Camerun verso gli USA per un importo di 50’000 $, 25’000 $ devono essere trasferiti dalla banca centrale della zona del Franco dell’Africa Centrale alla Banca di Francia.

In pratica la Banca di Francia investe le valute estere presenti sui conti principalmente in obbligazioni di stato emesse dalla Francia e in parte minore per acquistare dei franchi CFA i quali, in virtù del principio della libera trasferibilità sopra citato, tendono a rientrare in Francia…

Si constata quindi che le banche centrali africane acquistano la propria moneta tramite le proprie disponibilità di valuta estera, al fine di mantenere il tasso di parità con l’euro…

E’ infine necessario precisare che le istanze di governo e di attuazione di tutto questo sistema (Consiglio di Amministrazione, di sorveglianza, ecc.) includono dei rappresentanti dello Stato francese, che possiedono un diritto di veto e che sono pagati per preservare gli interessi del proprio paese (che non può essere loro imputato come colpa).

 

Fonti:

https://www.attivismo.info/nicolas-sarkozy-non-possiamo-permettere-alle-colonie-francesi-di-avere-le-loro-proprie-monete/

http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/francafrique-africa-francia/

Il problema dell’Africa? Si chiama Francia – E ricordiamoci di quando Nicolas Sarkozy diceva: “Non possiamo permettere alle colonie francesi di avere le loro proprie monete, sarebbe la catastrofe dell’economia francese”ultima modifica: 2018-11-02T15:57:08+01:00da eles-1966
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