Medicina – Le cure che i medici non farebbero mai e poi mai su loro stessi – Chiediamoci perchè!

 

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Medicina – Le cure che i medici non farebbero mai e poi mai su loro stessi – Chiediamoci perchè!

 

Cure che i medici non seguirebbero

Quando siete davanti ad una diagnosi preoccupante, una procedura invasiva o un’operazione rischiosa, probabilmente la domanda più intelligente che vorreste porre al vostro medico è « Lei che farebbe?».

Dopo anni di esperienza, essi sanno meglio di chiunque altro quali trattamenti e cure vale la pena fare e quali è meglio evitare.

A seguire dottori di primo piano e ricercatori rivelano ciò che personalmente eviterebbero; molti di loro sono controcorrente rispetto al sistema. I loro commenti vi sorprenderanno e vi illumineranno.

Uno psichiatra che non assumerebbe mai antidepressivi

La Dott.ssa Joanna Moncrieff è senior lecturer in psichiatria al London University College ed autrice di “The Myth Of The Chemical Cure” (Il Mito delle Cure Chimiche).
«Esercito la psichiatria da oltre 20 anni e nella mia esperienza gli antidepressivi non fanno nulla di buono. Non li prenderei mai in nessuna circostanza, nemmeno se pensassi al suicidio. Tutta la ricerca mostra che – nel migliore dei casi – gli antidepressivi fanno sentire le persone un pochino meglio di un placebo, ma non significa che di fatto curino la depressione. Dopo tutti questi anni di scannerizzazione del cervello, non abbiamo una sola prova che la depressione sia collegata ad un qualche squilibrio chimico nel cervello, dunque è discutibile tutta l’idea che noi possiamo trattarla con sostanze chimiche.

Io credo che la depressione è una reazione estrema alle nostre circostanze, ed il modo migliore per riprendersi è elaborare e lavorare sulla causa. A volte questo significa terapie che implicano dialogo, a volte significa modificare le circostanze come per esempio trovare un nuovo lavoro o guardare in faccia problemi relazionali…
Ovviamente ci sono alcune persone che sono depresse senza un motivo apparente, ma comunque non c’è evidenza che essi soffrano di una malattia cerebrale o che gli antidepressivi possano aiutarli. La cosa migliore resta cercare e trovare delle nuove cose che spezzino il cerchio di pensiero e comportamento …

Gli antidepressivi sono delle medicine psicoattive, che alterano la mente come fanno l’alcool o la cannabis ed io ho sempre pensato che se fossi depressa, vorrei conservare tutte le mie facoltà per uscire dallo stallo e non vorrei ritrovarmi ottenebrata da nessuna medicina, i cui effetti in realtà non comprendiamo»
Cardiologi che rifiutano le statine

Professor Kevin Channer, cardiologo al Claremont Hospital di Sheffield:

«Le statine hanno avuto un grande effetto nel ridurre il numero di attacchi cardiaci e infarti ed ora c’è una certa tendenza a dare a tutti queste pasticche che abbassano il colesterolo; ma io non ne assumerei nemmeno una senza avere la prova che sono sotto forte rischio: ogni volta che si prende un farmaco, bisogna pensare a rischi e benefici.

Le statine riducono le probabilità di attacco cardiaco o infarto, nella misura del 30%, dunque sì, c’è un vantaggio. Ma in termini reali è minimo, il rischio di avere in un anno un attacco cardiaco o infarto è dell’1%. Assumendo una statina questo scenderebbe allo 0,70%, che è ancora molto basso. Ho passato la mia vita professionale a prescrivere statine, ne conosco gli effetti collaterali: dolori muscolari, debilitazione generale, mal di stomaco.

Alcuni sostengono che andrebbero date quando il rischio è all’1,5%, ma personalmente non prenderei in considerazione di prendere il farmaco se non ad un rischio del 3%. Tutti quelli che hanno avuto un attacco cardiaco o un infarto hanno un rischio del 3% e per costoro il rischio del dolore vale il prezzo del beneficio.

D’altro canto, però, assumerei – e li assumo – farmaci che abbassino la pressione; anche se i mie valori personali sono attualmente al limite, so che invecchiando non potranno che salire e le ricerche dimostrano che più bassa è la pressione, più lunga è la vita.

Alcuni dei vecchi farmaci causavano effetti collaterali, ma ora io ne sto prendendo uno degli ultimi prodotti, che si chiama angiotensina, che blocca i ricettori e non sto avendo problemi».

Specialista della prostata che non fa il test PSA

Richard Ablin, professore di patologia presso l’University of Arizona College of Medicine:

«Quando nel 1970 scoprii il PSA, cioè l’antigene specifico per la prostata, ci rendemmo presto conto che ciò sarebbe stato di grande aiuto per i pazienti con cancro alla prostata. La proteina è specifica della ghiandola prostatica, non si trova infatti in quantità significative in nessun altro organo. Nel caso in cui un soggetto con cancro alla prostata l’avesse rimossa noi possiamo poi testare, grazie alla nostra scoperta, il PSA e verificare se è rimasto parte del cancro non individuato prima.

Purtroppo però il test PSA iniziò ad essere usato per la diagnosi del cancro alla prostata. Questo è stato un grosso errore: il PSA non è specifico per il cancro, è semplicemente una proteina prodotta dalla prostata; quindi trovarne un alto livello può significare semplicemente che un uomo ha la prostatite (una infezione) o una prostata ingrossata, qualcosa che da problemi ma è di ordine benigno. I livelli “normali” poi variano grandemente da soggetto a soggetto e non esiste una soglia oltre la quale possiamo diagnosticare il cancro in modo affidabile. Il test non può nemmeno fare la differenza tra un cancro prostatico a crescita lenta e uno aggressivo a crescita violenta. E’ come lanciare la monetina: la stessa efficacia.

Nonostante questo, è stato adottato come modo per diagnosticare il cancro alla prostata e, come risultato, milioni di uomini (maschi) sono stati curati eccessivamente e spesso con effetti collaterali altamente debilitanti quanto non necessari. Mi sottoporrei ad un test PSA solo dopo un trattamento per un cancro alla prostata o a scopo diagnostico in combinazione con altri test, tipo un esame rettale digitale».

Un Professore che dice che l’attività fisica, da sola, non basta

Jack Winkler, esperto di salute pubblica ed ex professore di politiche nutrizionali alla London Metropolitan University:

«Fare ginnastica può impedire di prendere peso, se si eccede un po’ con il cibo. Ma se siete in sovrappeso, mi dispiace ma non sarà sufficiente. Ti sei mangiato a pranzo un panino da 300 calorie? Per compensare devi nuotare per più di un’ora. Per perdere peso, devi bruciare più calorie di quante non ne hai assunte e l’unico modo per farlo è ridurre la quantità dei cibi assunti, questa è la realtà fondamentale. Ovviamente l’attività fisica è una buona idea, anche perché in essa ci sono molti altri benefici».

Il Chirurgo ortopedico che evita i raggi X

Chris Walker, chirurgo ortopedico al Liverpool Bone and Joint Centre:

«Troppo spesso, i pazienti vanno dal loro medico perché hanno dolori o sentono rigidità e vogliono che venga fatto qualcosa. I medici cosi li mandano a fare delle radiografie che possono ogni tanto mostrare dei guai, cosi finiscono col dire ai pazienti, che hanno l’artrite. Appena sentono questa diagnosi, i pazienti perdono il controllo e cominciano a diventare delle vittime. Prendono degli anti-infiammatori (che possono avere degli effetti collaterali gastrointestinali), si spaventano all’idea di fare attività fisica e la loro vita in genere si impoverisce in senso lato.

Ecco perché, a meno che non ci siano sintomi allarmanti di artrite – come dolore costante o notturno – io eviterei di far fare delle radiografie. Con l’età la maggior parte di noi ha qualche problemino alle articolazioni: la cosa migliore è fare del movimento. Le giunture amano il movimento, quello che le danneggia sono la corsa ed i salti ma camminare, nuotare ed andare in bicicletta riducono effettivamente il dolore e la rigidità e rallentano il manifestarsi dell’artrite. Mantenendosi attivi si perde peso, cosa che è di grandissimo aiuto, e non si finisce depressi perché si è troppo impegnati con la vita».

Lo specialista dell’anca dice di lascia perdere le maratone di mezza età

Jeremy Latham, chirurgo ortopedico specializzato, presso la University Hospital Southampton:

«Vedo di continuo persone nei loro 40 e 50 anni che si sono massacrate le articolazioni, perché come conseguenza di una crisi di mezza età, hanno deciso di fare maratone o triathlon. Bel dilemma, perché da un lato ci sono prove documentate che correre faccia bene alla salute delle articolazioni, ma se non siete ben allenati, rischiate di accelerare gli acciacchi alle ginocchia o caviglie. Se siete entrati nella mezza età e volete dimagrire ed essere in forma, il mio consiglio è di camminare, nuotare o andare in bicicletta: tutte attività “dolci” per le vostre articolazioni».

Asma, lo specialista che vuole eliminare gli inalatori

Mike Thomas, docente di ricerche nella prima assistenza e specialista in medicina della respirazione e cura dell’asma presso la University of Southampton:

«Molti diventano troppo dipendenti dagli inalatori “della salvezza” e finiscono nel panico se non ne hanno a portata di mano. L’uso quotidiano di questi strumenti, aumenta il rischio di attacchi gravi e gli effetti collaterali degli alti dosaggi di steroidi includono l’assottigliamento delle ossa, la facilità di ecchimosi ed un aumentato rischio di diabete e di pressione alta. Pertanto, invece di far sì che le persone diventino sempre più dipendenti dagli inalatori, sto collaborando con il Governo in una ricerca che mostri come semplici esercizi di respirazione, combinati al controllo dell’ansia, possano migliorare il controllo dell’asma.

Una volta che i pazienti trovano che gli attacchi di asma diventano meno stressanti, ricorrono meno agli inalatori. Se avessi l’asma, vorrei imparare come gestirla autonomamente, mi interessa aiutare i pazienti a migliorare la qualità della vita e diminuire la quantità di farmaci che prendono».

Lo specialista del sonno che non prenderebbe sonniferi

Dr Guy Meadows, specialista del sonno e fondatore della Scuola del Sonno:

«I sonniferi indeboliscono la vostra fiducia nella vostra capacità naturale di addormentarvi e possono finire con il produrre dipendenza psico-fisica. Cominciate col pensare che: “se non prendo una pillola non mi addormenterò”. E così il corpo si aspetta di ricevere un sedativo. In cambio correte cosi il rischio di avere una insonnia a rimbalzo quando smetterete di prenderli, il che spiega perché così tante persone siano nei guai quando vogliono smettere.

Gli effetti collaterali includono: capogiri, mal di testa, perdite della memoria, senso di rimbambimento. Studi recenti mostrano anche, che i sonniferi sono associati ad un rischio di morte quattro volte maggiore, cosa che per me alla lunga supera il beneficio. La ricerca dice anche che i sonniferi forniscono solo dai 20 ai 30 minuti di sonno in più.

Inoltre il sonno fornito da questi medicamenti, non è né naturale né di ristoro e questo perché alterano l’“architettura del sonno” limitandone la profondità ed interferendo con il sonno REM, necessari per sentirci riposati al risveglio. In alcuni casi, come quando la carenza di sonno è la seria conseguenza di gravi traumi, sono i sonniferi a dare la possibilità di questo recupero fondamentale. Ma non è la condizione nella quale si ritrova la gran maggioranza della gente, per la quale i sonniferi diventano inutili».

Tratto da: The Living Spirit
Traduzione di Cristina Bassi
Fonte

Medicina – Le cure che i medici non farebbero mai e poi mai su loro stessi – Chiediamoci perchè!ultima modifica: 2017-10-07T10:43:30+02:00da eles-1966
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