Femminicidio, violenza di genere, quote rosa. Negare alla discriminazione un nome è un modo per dire che non esiste alcuna discriminazione – Intervista a Michela Murgia

 

Michela Murgia

 

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Femminicidio, violenza di genere, quote rosa. Negare alla discriminazione un nome è un modo per dire che non esiste alcuna discriminazione – Intervista a Michela Murgia

 

Dalle parole (giuste) alla comprensione dei fatti. Un’intervista con Michela Murgia

 

Michela Murgia Intervista

È una guerra costante quella che combatte ogni giorno. Le sue armi? Un’attenzione maniacale verso tutto quello che succede nel mondo e la parola. Scritta, letta, parlata o twittata. Lei è Michela Murgia – in libreria (e in classifica) con Istruzioni per diventare fascisti [Einaudi] e Noi siamo tempesta [Salani] – ed è forse il più forte ed efficace cane da guardia di quest’epoca. Riprende, spiega a chi chiede chiarimenti, attacca e lotta.

Un ultimo baluardo di quella resistenza intellettuale che non pontifica dai salotti, ma che ancora ha la voglia e il coraggio di sporcarsi le mani. Con lei ho scambiato quattro chiacchiere sul mondo femminile, su quello maschile, su tutto ciò che ci circonda e che sta cambiando (in peggio). Per farlo siamo partiti dalla cosa più importante. Dagli atomi che formano la società: dalle parole.

Parole come FemminicidioViolenza di genere ma anche Quota rosa… ciclicamente arriva qualcuno ad augurarsi la scomparsa di queste o a interrogarsi sul loro utilizzo, auspicando un mondo dove non siano più necessarie.

Ma servono, eccome… cancellare questi termini significherebbe girarsi dall’altra parte. Tutte vorremmo vivere in un mondo dove le parole femminicidio quota rosa non servano, perché vorrebbe dire che nessuna donna muore più per mano di un uomo che la considerava propria e che nessun ambito della vita civile è diretto o rappresentato solo da maschi.

Nella realtà però muoiono circa 130 donne all’anno e i vertici universitari, scientifici, industriali, culturali, politici e sportivi sono in grandissima maggioranza in mano maschile. Negare a questa discriminazione un nome è un modo per dire che non esiste alcuna discriminazione, che le donne non comandano perché non sanno farlo e che muoiono perché se la sono cercata.

Molto comodo.

Che periodo storico e culturale stiamo vivendo? Ti faccio tre esempi.  Il governo nella manovra finanziaria ha tagliato il congedo di paternità. Come a dire (neanche troppo tra le righe): siano le donne a occuparsi dei figli e i maschi pensino a lavorare.

È un vecchio pregiudizio quello di pensare che gli uomini lavorino per vivere e le donne per gentile concessione, se avanza tempo dalle incombenze familiari. Persino all’articolo 37 della Costituzione si continua a leggere che per quanto riguarda i diritti della lavoratrice “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare”.

Che l’essenzialità dei padri in famiglia non entrasse nella visione dei legislatori costituenti aveva perfettamente senso in quel contesto storico. Evidentemente però la testa di molti dei nostri governanti attuali è rimasta ai ruoli sociali del 1948 e quando l’offerta di lavoro si contrae quello che sembrava un diritto di tutti torna a essere una prerogativa maschile.

Esempio numero due. Parlando di chi non è al governo: qualche mese fa su Facebook scrivevo che il centro sinistra si beava del trionfo femminile alle elezioni di midterm negli Stati Uniti, ma che (mia opinione) a una Alexandra Ocasio-Cortez (29 anni neo eletta al congresso ndr) non affiderebbe neanche la gestione di un gazebo alle primarie. Da dove deve ripartire anche la sinistra?

La sinistra deve anzitutto ripartire da sé stessa e da cosa vuole essere, perché questa categoria usata in senso diacronico continua a ingannare gli elettori. Per molti di loro sinistra vuol dire ancora attenzione alle fasce svantaggiate, stato sociale, protezione del lavoro, riforme sui diritti, economia soggetta a regole e internazionalismo. Nessuna forza politica sostiene però programmi che vadano in questa direzione in modo netto, sistematico e costante. Il Partito Democratico (in particolare negli anni renziani) ha avuto posizioni tutt’altro che di sinistra sulle questioni economiche, indicando in Marchionne – cioè nel manager che ha strappato la contrattazione del lavoro operaio al quadro di regole certe del contratto nazionale – l’uomo da prendere a modello per la ricrescita. Tutte le riforme del lavoro dei governi cosiddetti di centro sinistra (da Tiziano Treu al Jobs Act) negli ultimi vent’anni sono andate nella direzione della deregolamentazione del mercato, il contrario di quello che un elettore di sinistra si aspetta dal suo partito. La verità è che in Italia, per la particolare storia culturale e politica del paese, tutti i partiti a vocazione governativa sono sempre partiti di centro. La differenza si può giocare su alcuni diritti civili – di solito con accordi al ribasso che diano un colpo al cerchio e uno alla botte – ma mai sulle questioni portanti, che restano quelle economiche.

Esempio numero tre. Potremmo discutere anche dell’informazione a “sesso unico”: tu stessa da circa un anno a questa parte stai sottolineando come i pezzi nelle prime pagine dei giornali siano quasi esclusivamente a firma maschile.

L’ho fatto, ma la reazione stizzita delle redazioni – sia uomini che donne – mi ha rivelato quanto sia difficile ammettere una discriminazione quando la pratichi e persino quando la subisci. Tutti i lettori e le lettrici dovrebbero esigere un’informazione (e una politica, e una economia, e una religione) dove le voci rappresentative siano le più varie possibili. La ragione non è che le donne scrivano, governino, preghino o facciano i soldi diversamente dai loro colleghi, ma che se non ci sono donne nei luoghi della rappresentazione pubblica non è pensabile che la società possa diventare paritaria negli altri ambiti, quelli dove il conto dei nomi di donna non lo fa nessuno. Tutto quello che non è rappresentato è recessivo o non esiste, è l’eccezione e non la norma.

Si è parlato molto del tuo ultimo “fascistometro”, un test che tra il serio e il faceto mostra come, in 65 semplici frasi, siamo tutti a rischio davanti al virus fascista. Leggendolo emerge anche una correlazione tra un atteggiamento fascista e determinate letture del mondo che vanno dal “Eh ma quella se l’è cercata” fino al “Se non li mandiamo a casa ti dovrai mettere il burqa”.  È una lettura corretta?

Ho inserito molte frasi sessiste nel fascistometro perché sono spie: non esiste una sola variante di fascismo al mondo che non sia stata sempre anche sessista. Se voglio verificare la deriva potenzialmente fascista di una società la prima domanda che mi faccio è: “A che punto stanno i diritti delle donne e delle persone omoaffettive?” Il conservatorismo e la pretesa naturalità immutabile dei ruoli di genere sono elementi certificatori di quell’ur-fascismo a cui Umberto Eco dedicò la ormai famosa conferenza alla Columbia. Il culto del capo e dell’uomo forte si fondano sul modello di mascolinità tossica del machismo patriarcale e hanno bisogno che le donne e le altre modalità del maschile non si affianchino come paritarie. Se il fascismo le trova deboli le soffoca, se le trova organizzate le combatte con violenza. Le donne che muoiono di femminicidio non sono donne deboli: sono donne che si stavano dimostrando più forti e autonome del sistema di relazione che le voleva vittime.

 

 

fonte: https://www.pianetadonna.it/notizie/attualita/michela-murgia-intervista.html

 

Femminicidio, violenza di genere, quote rosa. Negare alla discriminazione un nome è un modo per dire che non esiste alcuna discriminazione – Intervista a Michela Murgiaultima modifica: 2019-03-13T22:22:43+01:00da eles-1966
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