Perché sul latte non vengono posti i dazi doganali come hanno fatto per il riso della Cambogia e della Birmania? Il riso del Nord Italia si deve proteggere e il latte di pecora sardo no?

 

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Perché sul latte non vengono posti i dazi doganali come hanno fatto per il riso della Cambogia e della Birmania? Il riso del Nord Italia si deve proteggere e il latte di pecora sardo no?

Una Giustissima osservazione de I Nuovi Vespri – Il riso del Nord Italia si deve proteggere e il latte di pecora sardo e siciliano no?

Perché sul latte non vengono posti i dazi doganali come hanno fatto per il riso della Cambogia e della Birmania?

Ci auguriamo che, domani, i pastori sardi pongano questa domanda al Ministro leghista, Gian Marco Centinaio. Il riso del Nord Italia si deve proteggere e il latte di pecora sardo e siciliano no? Ora i leghisti hanno paura di perdere voti alle imminenti elezioni della Sardegna, perché dai pastori è arrivato un secco “No” alle soluzioni un po’ ridicole proposte dal Governo nazionale. In Sicilia il via alla protesta dei pastori a Poggioreale (VIDEO). La proposta del presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino  

La trattativa sul latte è ad un punto morto. A Roma la delegazione dei pastori sardi ha rifiutato l’offerta del Governo nazionale – offerta risibile – e domani è previsto un incontro in Sardegna con il Ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio. La Lega vorrebbe portare a casa un bell’accordo a pochi giorni dal voto per le elezioni regionali sarde. Ma i pastori sono tutt’altro che ingenui. E’ probabile, infatti, che domani i pastori sardi pongano al Ministro la seguente domanda: perché per difendere le coltivazioni di riso del Nord Italia dalle importazioni di riso dalla Cambogia e dalla Birmania sono stati utilizzati i dazi doganali, mentre per difendere il latte di pecora italiano il Governo offre le briciole?

La risposta è semplice: perché quando c’è da difendere l’agricoltura del Nord – e il riso si coltiva in Lombardia, in Piemonte, in Veneto e in Emilia Romagna – i rimedi si trovano; mentre quando c’è da difendere l’agricoltura del Sud Italia, ebbene, la musica è sempre la stessa: questo non si può fare, quello lo impedisce l’Unione Europea e bla bla bla.

E’ così per il latte di pecora, ma è così anche per il grano duro, per l’olio d’oliva extra vergine, per gli agrumi e via continuando.

Pensate un po’: lo scorso anno, quando i produttori italiani di riso si sono accorti che, nel nostro Paese, un pacco di riso su quattro era estero (o cambogiano o birmano), si sono catapultati dall’allora Ministro delle Politiche agricole del PD, Maurizio Martina e gli hanno detto: che dobbiamo fare?

E siccome il problema interessava pure Francia e Spagna (per la cronaca, l’Italia è il primo produttore di riso in Europa, seguito dalla Spagna e dalla Francia.

I produttori di riso italiani, spagnoli e francesi non hanno avuto bisogno di gettare il riso per strada: la soluzione è arrivata dopo qualche mese: tre anni di dazi doganali sul riso cambogiano e birmano. In questo caso anche l’Unione europea dell’euro (che Iddio la protegga sempre…) non ha obiettato: la globalizzazione dell’economia, per il riso, andava bloccata!

Lo volete sapere qual è la motivazione con la quale l’Unione europea ha motivato l’introduzione dei dazi doganali a tutela del riso? Hanno appurato che i produttori di riso italiani, spagnoli, francesi e di altri Paesi europei con produzioni nettamente inferiori a quelle dei primi tre Paesi venivano “effettivamente danneggiati” dal riso cambogiano e birmano?

Mentre i pastori sardi, i pastori siciliani, i pastori del Lazio e anche quelli della Toscana non vengono forse danneggiati dal latte di pecora estero che arriva in Italia?

In queste ore l’Antitrust ha avviato un’istruttoria per accertare se il Consorzio del pecorino romano “abbia imposto agli allevatori un prezzo di cessione del latte al di sotto dei costi medi di produzione”.

Questa storia è molto strana perché il pecorino romano DOP (che di romano ha poco, visto che è prodotto in gran parte con il latte di pecora della Sardegna) può essere prodotto solo con il latte di pecora italiano. Eppure l’Italia è invasa da latte di pecora della Romania, dove i costi di produzione, tanto per cambiare, sono molto più bassi.

A noi, infatti, risulta che mentre ai pastori sardi, per consentirgli una vita dignitosa, il latte di pecora dovrebbe essere pagato ad un prezzo compreso tra un euro e 30 e un euro e 50, in Romania, vendendolo a 30-35 centesimi di euro ci guadagnano! La dimostrazione matematica che, a queste condizioni, l’ovinicoltura italiana è perdente!

Però questo dato di fatto non viene riconosciuto: per i produttori di riso di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna i dazi doganali contro il riso cambogiano e birmano sono arrivati nel giro di qualche mese; ai pastori sardi il Ministro Matteo Salvini e la sua ‘banda’ leghista hanno proposto di pagare il latte di pecora 70 centesimi al litro di euro al posto dagli attuali 55 centesimi: una proposta ridicola!

Poi hanno aggiunto che il prezzo verrà portato a un euro. Quando? Supponiamo dopo le elezioni regionali sarde…

I pastori sardi – in sostegno dei quali sono scesi in campo gli studenti – non hanno ceduto. E si spera che, domani, oltre a un prezzo che non potrà essere inferiore a un euro e 30 centesimi al litro, chiedano pure i dazi doganali per colpire le importazioni di latte rumeno. E si spera anche i controlli per capire come viene effettuare questa benedetta produzione di pecorino.     

Intanto oggi in Sicilia è partita la protesta dei pastori siciliani a Poggioreale, in provincia di Trapani (SOTTO UN VIDEO). Da quello che si capisce non c’è una grande partecipazione come in Sardegna, anche se non manca la volontà di far sentire le ragioni. Si sono fatti sentire il presidente della regione siciliana, nello Musumeci, e l’assessore all’Agricoltura, Edy Bandiera. Sono quelli che si erano impegnati ad effettuare i controlli sul grano duro che arriva in Sicilia con le navi: controlli finiti in una bolla di sapone: bolla di sapone che, alla fine, è la metafora dell’attuale Governo regionale che, anche in materia di agricoltura, sta ‘toppando’ su tutta la linea.

Sulla crisi del latte interviene, con una nota, Confagricoltura Sicilia:

“Ai pastori sardi va dato il merito di aver portato all’attenzione nazionale un problema che è comune alla maggior parte dei comparti produttivi come quello cerealicolo, olivicolo, agrumicolo ed ortofrutticolo – dice il presidente della Confagricoltura siciliana, Ettore Pottino -. La situazione siciliana presenta infatti molti punti in comune con quella della Sardegna. Prezzi in picchiata e offerta in costante eccedenza”.

“I costi, secondo le ultime rilevazioni ISMEA – si legge sempre nella nota di Confagricoltura Sicilia – sono sistematicamente al di sotto dei prezzi alla produzione riconosciuti alla parte agricola, che sta operando in una situazione di deficit costi/ricavi. Una situazione che dipende sia dagli effetti perversi della globalizzazione, dalla concorrenza di Paesi europei con significativo differenziale economico che dai rapporti all’interno della filiera”.

Per il presidente di Confagricoltura Sicilia, è quindi necessario intervenire con una serie di misure per salvaguardare la filiera dell’allevamento ovino, misure che dovrebbero nello specifico prevedere:

– un ristoro immediato per ridare liquidità agli allevatori colpiti dalla crisi;
– un incentivo per ettaro a favore degli allevatori, finalizzato a migliorare la quantità e la qualità della produzione di proteine vegetali valorizzando erbai, prati e prati-pascoli;
– interventi di ritiro per fini umanitari delle eccedenze di prodotto.

“Misure queste – sottolinea Pottino – che servono solamente a tamponare la grave crisi del momento. A medio termine è invece necessario iniziare a programmare le produzioni a denominazione di origine che dovranno essere ottenute in un quadro di completa trasparenza e conoscenza dei dati di produzione e commercializzazione, che vanno a loro volta costruiti con un sistema di tracciabilità completa. La programmazione dovrà essere realizzata in piena collaborazione tra trasformatori e allevatori e prevedendo anche obiettivi realistici, in linea con gli andamenti di mercato e comunque prevedendo sanzioni efficaci e dissuasive per chi contravviene agli obiettivi fissati”.

Dopo di che Pottino pone la questione politica:

“La soluzione definitiva al problema – conclude il presidente di Confagricotura – va comunque trovata all’interno della nuova PAC (Politica Agricola Comune) post 2020 di cui si stanno configurando i nuovi contorni introducendo un premio a favore degli ovini nati ed allevati nei territori della comunità e che dispongono di idonee certificazioni sanitarie, un premio che sia congruo per compensare la differenza di prezzo della produzione nazionale rispetto a quella estera”.

La soluzione è interessante, ma forse con la globalizzazione servono rimedi più drastici: i dazi doganali come, per l’appunto’ è stato fatto per il riso.

 

Fonte: http://www.inuovivespri.it/2019/02/15/perche-sul-latte-non-vengono-posti-i-dazi-doganali-come-hanno-fatto-per-il-riso-della-cambogia-e-della-birmania/?fbclid=IwAR1q70Dm1k_My_tIuxHpQMS1Jp8kMtowUNqwOwJjExJNSvKpQKf_eI8gzPM#_

Perché sul latte non vengono posti i dazi doganali come hanno fatto per il riso della Cambogia e della Birmania? Il riso del Nord Italia si deve proteggere e il latte di pecora sardo no?ultima modifica: 2019-02-16T19:43:31+01:00da eles-1966
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