Glifosato: non serve vivere vicino ai campi per essere contaminati

 

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Glifosato: non serve vivere vicino ai campi per essere contaminati

 

Uno studio indipendente trova consistenti tracce di glifosato in un campione di donne in gravidanza residenti a Roma.

Da quando L’Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato il glifosato come «probabilmente cancerogeno» il dibattito sull’erbicida più utilizzato al mondo è salito a livello europeo dove l’autorizzazione al suo utilizzo è stata rinnovata a tutto il 2017.

Se ancora qualcuno di voi avesse dubbi sul fatto che non è più tollerabile continuare a subire l’avvelenamento di questa sostanza e ancora non avesse firmato Ice (Iniziativa dei cittadini europei) che ne chiede il bando dal territorio europeo (firmate qui per favore), vi riportiamo l’ennesimo studio che prova quanto possa essere dannoso per la nostra salute.

Ad aprile 2017 l’associazione A Sud e la rivista Il Salvagente hanno incaricato un laboratorio tedesco di eseguire analisi tossicologiche indipendenti su un campione di 14 donne incinte, scelte nel contesto urbano della città di Roma. I risultati dei test, effettuati dal BioCheck Lab di Lipsia, sono allarmanti: tutti e 14 i campioni di urine raccolti mostrano la presenza di glifosato, con un range che va dagli 0,43 ai 3,48 nanogrammi/ml. La sua presenza può essere causata da diversi fattori, primo tra tutti l’alimentazione. Il glifosato entra nell’organismo umano non solo mediante pane, pasta, farina e altri prodotti a base di farina ma anche attraverso carni e formaggi. Sappiamo tutti che l’85% dei mangimi utilizzati negli allevamenti sono costituiti da mais, soia, colza ogm brevettati proprio per essere resistenti al glifosato.

Quanto glifosato dovrebbe esserci nelle urine? La risposta a questa domanda è: zero.

Se è vero che non sono previsti livelli massimi di concentrazione nel corpo umano, è comunque inammissibile la presenza di questa sostanza chimica. Come conferma l’oncologa Patrizia Gentilini, membro del Comitato Scientifico dell’Isde (International Society of Doctors for the Environment), che ha commentato: «Il glifosato rinvenuto nelle urine delle donne che si sono sottoposte al test è in concentrazioni superiori al limite di quantificazione nel 100% dei casi». Gentilini spiega che in un’indagine dello stesso tipo effettuata in Germania dal 2001 al 2015 su un totale di 399 soggetti – maschi e femmine di età compresa tra i 20 e i 29 anni – il glifosato è stato trovato solo nel 32% delle analisi effettuate. «Occorre considerare – aggiunge Gentilini – che il valore massimo riscontrato tra le 14 donne in gravidanza esaminate a Roma è stato del 24% superiore al valore più alto trovato tra le analisi effettuate in Germania. Vi sono ragioni scientifiche perché il risultato dei test possa ritenersi un campanello di allarme».

Insomma, si può affermare che questa ricerca evidenzia il rischio concreto per la salute umana, riproduttiva e neonatale rappresentato dall’esposizione al glifosato. Perché? Oltre alla sua neurotossicità e alla connessione con diverse tipologie di cancro, l’erbicida è da considerarsi un interferente endocrino associato all’insorgenza di disturbi della crescita, aborti spontanei, anormalità dello sperma e diminuzione del numero degli spermatozoi. Vi serve altro?

Nel dubbio vi riportiamo un’altra ricerca. In uno studio indipendente ancora in corso, il dottor Paul Winchester sta dimostrando che le madri con alti livelli di glifosato nelle urine hanno una gravidanza più breve e i bambini un peso minore alla nascita, il che può comportare minori abilità cognitive nell’età dello sviluppo e più alti rischi di sindromi metaboliche. Dallo stesso studio emerge che le donne che vivono nelle zone rurali presentano un più alto contenuto di glifosato nelle urine rispetto alle donne residenti nelle aree urbane, suggerendo una maggiore esposizione legata alla prossimità dei campi coltivati.

Glyphosate  international

L’indagine condotta sulle donne romane, fa parte di un più ampio Dossier realizzato dalle Associazioni A Sud, Navdanya International e Cdca, dal titolo: Il Veleno è servito – glifosato e altri veleni dai campi alla tavola, che racconta storia, evoluzioni e rischi dell’utilizzo della chimica di sintesi in agricoltura, soffermandosi sugli studi scientifici pubblicati, sui profili normativi, sul conflitto di interessi che coinvolge le lobbies agrochimiche impegnate a ottenere normative più permissive. E ci fa una panoramica sugli effetti del glifosato nel resto del mondo.

Negli Stati Uniti, è stato trovato nelle urine del 93% dei consumatori sottoposti a indagine tossicologica durante un progetto avviato nel 2015 dall’Università di San Francisco – California (Ucsf).

L’Argentina rappresenta uno dei paesi maggiormente colpiti dagli effetti dell’agricoltura industriale: da quando nel 1996 il governo argentino spalancò le porte alla coltivazione transgenica della soia RoundUp Ready resistente al RoundUp (l’erbicida a base di glifosato) i casi di cancro e malformazioni alla nascita sono esplosi, come hanno anche dimostrato le immagini scattate dal fotografo Pablo Piovano.

In Colombia, il massiccio ricorso alla pratica delle fumigazioni aeree di glifosato per lo sradicamento dei campi illegali di coca (pratica sostenuta dal Plan Colombia approvato nel 2000 dagli Stati Uniti) ha portato all’inquinamento dei corsi d’acqua e dei terreni e allo sfollamento di migliaia di colombiani oltre naturalmente all’insorgere di gravi patologie epidermiche, oftalmiche, epatiche e oncologiche.

Esistono alternative al glifosato? Noi pensiamo di sì e che ne varrà la pena.

A cura di Maurizio Bongioanni
m.bongioanni@slowfood.it

 

tratto Da: http://www.slowfood.it/roma-glifosato-nelle-urine-concentrazioni-superiori-al-limite-quantificazione-nel-100-dei-casi-analizzati/

 

 

Glifosato: non serve vivere vicino ai campi per essere contaminatiultima modifica: 2017-12-09T17:37:40+01:00da eles-1966
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