La ricerca italiana che sfida Big Pharma. «Cancro, esistono cure migliori»

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La ricerca italiana che sfida Big Pharma. «Cancro, esistono cure migliori»

CHICAGO Parliamo di cancro. Con un un successo della ricerca italiana che si celebra nel tempio della scienza oncologica mondiale: il meeting dell’Asco, l’American Society of Clinical Oncology aperto a Chicago. Dove 30 mila scienziati di tutto il mondo ascolteranno i risultati di ben quattro studi indipendenti, tutti italiani. Si tratta di ricerche fatte nel nostro interesse, e non in quello dell’industria. E questi 4 studi, portati avanti da quasi un centinaio di gruppi italiani, hanno indagato se sia davvero necessario trattare le donne operate al seno con un lungo e costoso regime che combina la chemioterapia e un moderno anticorpo monoclonale per un anno, o se non bastino 9 settimane. Così come se sia davvero meglio aggiungere il tossico platino a un altro chemioterapico ai malati anziani di tumore del polmone. Ancora: perché prolungare le cure per sei mesi a persone operate al colon se ne bastano tre?
Queste ricerche fanno domande che l’industria mai si sarebbe fatta. Perché non è interessante scoprire che si possono accorciare i tempi di un trattamento, insieme ai costi e agli effetti collaterali per i pazienti. Oppure se mettere insieme più farmaci (come conviene all’industria) in un cocktail più difficile da tollerare per i malati si traduce in un beneficio reale. Sono domande a cui bisogna rispondere per prescrivere cure appropriate. Ma le companies non se le fanno. E tutti gli studi su cui i medici basano le loro terapie sono condotti da Big Pharma, che spende ogni anno in ricerca e sviluppo circa 60 miliardi di dollari. Cifra che nessun governo può permettersi. La forza schiacciante di queste cifre ha spinto medici e agenzie regolatorie a una sorta di rassegnazione: le ricerche le fa Big Pharma, a noi non resta che vigilare che non imbroglino. Pazienza se non ci diranno esattamente quali sono le dosi più efficienti e meno costose. Ma i piccoli studi italiani, costati pochi milioni, dimostrano che si può fare ricerca nell’interesse di tutti.
Non è indifferente quello che diranno Roberto La Bianca, Spedali Riuniti di Bergamo, e Alberto Sobrero, del San Martino di Genova, che, insieme a colleghi in tutto il paese, hanno misurato diversi schemi terapeutici somministrati agli oltre 30.000 italiani operati ogni anno per tumore del colon-retto, e scoperto che si potrebbero dimezzare i tempi della chemioterapia. «Studi che l’industria non fa – commenta La Bianca – per i quali serve un ruolo guida dell’Aifa». Che in passato l’agenzia ha avuto. Tra il 2005 e il 2008 l’allora direttore, Nello Martini, finanziò oltre 90 milioni di ricerche per definire l’appropriatezza dei farmaci: i lavori che si presentano oggi a Chicago furono finanziati nel 2007. Erano anni in cui tutta l’azione governativa era diretta a contenere Big Pharma e Martini lo fece. Quando fu cacciato con pretesti giudiziari per i quali è stato assolto. Tra le conseguenze del cambio di passo c’è stato lo stop agli studi indipendenti. Che però oggi ripartono, il nuovo direttore Mario Melazzini ha già messo sul piatto 12 milioni e, spiega «queste ricerche ci servono per scegliere e decidere cosa accettare a carico del Ssn e cosa rigettare come inutile o troppo tossico. Voglio comprimere le pretese delle aziende».
Non solo. Pier Franco Conte, direttore dell’Oncologia medica di Padova, ha messo insieme 82 ospedali italiani per vedere se la terapia standard che prevede la somministrazione – per le donne operate per un tumore del seno – di un costoso anticorpo monoclonale per un anno è la migliore, o se non sarebbe meglio una terapia di sole 9 settimane. Suddetto anticorpo ci costa circa 200 milioni di euro l’anno, ma è un salvavita. Ma, chiosa Conte: «il nostro lavoro vuole vedere se sono tutti soldi spesi bene».
Ci sono in ballo oltre 4 miliardi di euro. Tanto spendiamo ogni anno per i farmaci oncologici. Sono tutti spesi bene? «La maggior parte dei nuovi farmaci è efficace su porzioni piccolissime di pazienti», spiega Conte. E negli studi sponsorizzati dalle industrie entrano solo malati nelle condizioni cliniche che rispondono ai parametri già scritti per selezionare quelli su cui il farmaco funzionerà. La stragrande maggioranza delle persone reali resta fuori. Quando leggiamo che un farmaco, come quello recente per il polmone, aiuta il 30-40% di malati siamo felici. Ma nella vita reale questo vantaggio scende all’8% circa. Va bene lo stesso, perché saranno malati che stanno meglio. Ma dobbiamo saperlo». E a questo servono gli studi indipendenti. Anche per sapere chi davvero potrà beneficiare dei farmaci e così, conclude Conte: «Il problema dei costi non ci sarebbe».

 

La ricerca italiana che sfida Big Pharma. «Cancro, esistono cure migliori»ultima modifica: 2017-07-03T16:23:49+02:00da eles-1966
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